Ecco i 12 passi della deregulation verso la crisi finanziaria:
1. Abrogazione del Glass-Steagall Act e crescita della cultura dell'imprudenza
Il Financial Services Modernization Act del 1999 ha formalmente abrogato il Glass-Steagall Act del 1933 (anche conosciuto come Banking Act del 1933) e le relative leggi, le quali proibivano alle banche commerciali la possibilità di offrire servizi di investimento bancario e assicurativi. In una sorta di disobbedienza civile societaria, Citibank ed il gigante delle assicurazioni Travelers Group si fusero nel 1998, una mossa illegale al tempo, ma per la quale gli venne concessa una tolleranza di due anni, sicuri che sarebbero riusciti ad ottenere una modifica della legislazione vigente in futuro. Ci riuscirono. L'abrogazione nel 1999 del Glass-Steagall aiutò a creare le condizioni che hanno permesso alle banche di investire il denaro dei conti correnti in strumenti finanziari creativi come le obbligazioni garantite da mutui ed i credit default swaps, scommesse finanziarie che hanno messo a rischio l'intero mercato finanziario nel 2008.
2. Occultamento delle passività: contabilità fuori bilancio
Detenere attivi fuori bilancio generalmente permette alle società di nascondere gli attivi tossici o in perdita agli investitori in modo tale da far apparire la società più appetibile di quanto sia effettivamente. Le banche hanno usato operazioni fuori bilancio per detenere obbligazioni strutturate garantite da mutui. Siccome le obbligazioni erano detenute da una società esterna, le banche non erano tenute ad accantonare le riserve necessarie contro il rischio di default, rendendole così vulnerabili. Le operazioni fuori bilancio sono permesse dalle regole del Financial Accounting Standards Board varate seguendo le esortazioni da parte delle grandi banche. La Securities Industry and Financial Markets Association e l'American Securitization Forum sono tra le lobby che stanno ora bloccando la riforma di queste regole.
3. Il governo boccia la regolamentazione dei derivati finanziari
I derivati finanziari non sono regolati. Sotto tutti i punti di vista ciò si è rivelato un disastro, come l'avvertimento fatto da Warren Buffet che li ha definiti "armi di distruzione finanziaria di massa" aveva previsto. I derivati finanziari hanno amplificato la crisi finanziaria molto oltre i problemi inevitabili connessi all'esplosione della bolla immobiliare. La Commodity Futures Trading Commission (CFTC) ha giurisdizione sui contratti future, le opzioni e gli altri derivati legati alle merci. Durante l'amministrazione Clinton, la CFTC ha cercato di estendere i propri controlli sui derivati finanziari. L'agenzia fu schiacciata dall'opposizione del ministro del Tesoro, Robert Rubin, e, soprattutto, dal governatore della Federal Reserve, Alan Greenspan. Essi contestarono l'autorità giurisdizionale dell'agenzia; e sostennero che la regolamentazione avrebbe messo in pericolo l'attività finanziaria esistente che era già di considerevoli dimensioni (seppur ben lontana dai livelli correnti). Successivamente il consigliere del ministro del Tesoro, Lawrence Summers, dichiarò al parlamento che le proposte della CFTC "gettano un'ombra di incertezza su un mercato altrimenti solido".
4. Il parlamento blocca la regolamentazione dei derivati finanziari
La deregulation, o non regolamentazione, dei derivati finanziari fu sancita nel 2000, con il Commodities Futures Modernization Act (CFMA), il passaggio del quale fu diretto dall'allora senatore Phil Gramm, R-Texas. Il Commodities Futures Modernization Act esime i derivati finanziari, inclusi i credit default swaps, dalla regolamentazione ed aiuta a creare l'odierna crisi finanziaria.
5. Il regime di regolamentazione volontaria per le banche d'investimento della SEC
Nel 1975, la divisione negoziazioni e mercati della SEC promulgò un provvedimento che obbligava le banche d'investimento a mantenere un rapporto tra debito e capitale netto inferiore a 12. Vietò la negoziazione di titoli se questo fosse stato superiore, perciò molte società mantennero un rapporto molto inferiore. Nel 2004, invece, la SEC cedette alle pressioni delle grandi banche d'investimento, guidato dalla Goldman Sachs ed il suo direttore di allora, Henry Paulson, e autorizzò le banche d'investimento a sviluppare i propri requisiti riguardanti il capitale netto seguendo gli standard dettati dal Basel Committee on Banking Supervision. Questo comprendeva essenzialmente complicate formule matematiche le quali non imponevano nessun limite reale. Con questa nuova libertà, le banche d'investimento aumentarono il rapporto debitorio fino a 40, come nel caso di Merrill Lynch. Questa super-leva non rese solamente le banche d'investimento più vulnerabili quando scoppiò la bolla immobiliare, ma consentì alle banche di creare un confuso groviglio di investimenti derivati, in maniera che un loro individuale fallimento, o un potenziale fallimento, comportasse una crisi sistemica. L'ex direttore della SEC, Chris Cox, ha ammesso che la regolamentazione volontaria fu un completo fallimento.
6. Globalizzazione della regolamentazione volontaria delle banche: praparativi per la ripetizione della crisi
Nel 1988, vennero adottate una serie di regole, conosciute come Basilea I, per imporre degli standard minimi relativi al capitale delle banche a livello globale. Procedure finanziarie complicate resero però difficile la verifica dell'adesione a questi criteri, portando alla negoziazione di nuove regole. Basilea II, pesantemente determinata dalle banche stesse, ha stabilito criteri di riserve bancarie variabili, basati su fattori soggettivi come i giudizi delle agenzie di rating o modelli interni alle banche di valutazione del rischio. L'esperienza della SEC con i principi di Basilea II ne illustra i difetti fatali. Le banche commerciali negli Stati Uniti avrebbero dovuto essere in linea con i criteri di Basilea II dall'aprile 2008, ma complicazioni e dispute all'interno dell'industria ne hanno rallentato l'applicazione.
7. Fallimento nella prevenzione delle irregolarità nei prestiti
Anche in un ambiente deregolamentato, si mantenne la possibilità di porre dei limiti agli abusi relativi alla concessione di prestiti. Questo avrebbe protetto i propietari di casa, e diminuito se non prevenuto la crisi finanziaria odierna. Ma i controllori rimasero a braccia conserte. La Federal Reserve prese tre provvedimenti contro i prestiti subprime dal 2002 al 2007. L'Ufficio di Controllo della Moneta, che ha autorità su circa 1800 banche, prese tre provvedimenti a difesa dei consumatori dal 2004 al 2006.
8. Ostruzionismo della Federal Reserve a leggi per la protezione dei consumatori
Quando gli stati cercarono di riempire il vuoto creato dalla non regolamentazione a livello federale, la Fed intervenne per fermarli. "Nel 2003", come racconta Eliot Spitzer, "durante l'apice della crisi di irregolarità nei prestiti, l'Ufficio di Controllo della Moneta invocò una clausola dal National Bank Act del 1863 per esporre delle obiezioni formali bloccando le leggi a tutela dei consumatori. Lo stesso ufficio promulgò inoltre nuove regole che vietavano ai singoli stati di rafforzare qualunque loro legge a tutela dei consumatori e contraria alle banche nazionali.
9. Disciplina sfuggente: responsabilità dell'acquirente di un prestito
Secondo la legislazione federale vigente, eccetto poche eccezioni, solo il prestatore iniziale è responsabile in caso di irregolarità del prestito, anche nel caso il prestito sia trasferito ad altri. Questo espediente ha sostanzialmente reso immuni gli acquirenti di prestiti da ogni problema legato all'origine di quest'ultimo, e li ha sollevati da ogni compito di controllo riguardante i termini del prestito. Gli operatori di Wall Street hanno potuto comprare, impacchettare e collegare ad obbligazioni i mutui subprime, molti dei quali irregolari, senza timore di essere chiamati a rispondere di eventuali irregolarità. L'espediente ha tolto alle vittime ogni possibilità di agire se non contro il primo prestatore, e normalmente senza nessuna difesa nel caso di insolvenze. Il deputato Bob Ney, R-Ohio, stretto amico di Wall Street il quale successivamente finì in prigione relativamente allo scandalo Abramoff, fu il maggiore esponente dell'opposizione ad una giusta legislazione nei confronti degli acquirenti di prestiti.
10. Fannie Mae e Freddie Mac accedono al mercato dei subprime
Al culmine del boom immobiliare, Fannie Mae e Freddie Mac erano tra i maggiori acquirenti nel mercato secondario dei subprime. Le agenzie governative finirono per detenere sostanziosi attivi subprime, almeno 57 miliardi di dollari. L'acquisto di attivi subprime fu un cambiamento rispetto alle pratiche precedenti, giustificato da teorie riguardanti l'espansione dell'accesso alla proprietà di una casa per le famiglie a basso reddito, e razionalizzato da modelli matematici ritenuti in grado di identificare e stimare il rischio secondo nuovi livelli di precisione. In realtà, la motivazione era la natura for-profit delle istituzioni ed i loro particolari schemi di incentivi ai dirigenti. Massicce pressioni, specialmente ma non solo da parte di Democratici amici delle istituzioni, permisero loro di divergere dalla loro tradizionale operatività sul mercato dei mutui più sicuri. Fannie Mae e Freddie Mac non sono responsabili della crisi finanziaria. Sono responsabili del loro fallimento, e della conseguente ricaduta economica sui contribuenti.
11. La follia delle fusioni
L'effettivo abbandono di regole contro il monopolio durante le ultime due decadi ha consentito una enorme concentrazione all'interno del sistema bancario, molto prima delle ultime mosse per unire aziende al fine di consentire il funzionamento del sistema stesso. Le mega-banche hanno raggiunto dei livelli così grandi da rendere pericoloso per il sistema un loro fallimento. Avrebbero quindi dovuto essere trattate come un servizio pubblico con regole e controllo del rischio maggiori, ma altre decisioni (inclusa l'abolizione della Glass-Steagall) permisero a queste istituzioni gigantesche di beneficiare di esplicite ed implicite garanzie da parte del governo federale, anche se perseguivano pericolosi investimenti ad alto rischio.
12. Conflitto di interesse crescente: il fallimento delle agenzie di rating
Le agenzie di rating sono un elemento essenziale nella storia della crisi finanziaria. Le obbligazioni strutturate collegate ai mutui erano attraenti per molti investitori in quanto promettevano alti rendimenti. Ma i fondi pensione ed altri investitori ebbero la possibilità di acquistarli in quanto le obbligazioni avevano dei giudizi molto elevati. Le agenzie di rating permisero a questi investitori di partecipare al mercato, emettendo giudizi elevati ad obbligazioni sostanzialmente ad alto rischio, come gli eventi successivi hanno rivelato. Le agenzie di rating hanno l'attitudine ad offrire giudizi favorevoli ai nuovi strumenti in conseguenza alla loro complessa relazione ed il loro desiderio di mantenere ed ottenere altri contratti con l'emittente. Questo conflitto di interesse avrebbe dovuto essere prevenuto dalla SEC, ma il Credit Rating Agencies Reform Act del 2006 diede alla SEC un'autorità di controllo insufficiente. In effetti, la SEC deve rilasciare un giudizio di approvazione alle agenzie di rating se queste aderiscono a dei loro criteri interni, anche se la SEC è a conoscenza delle manchevolezze dei criteri stessi.
estratto da:
Sold out: how Wall Street and Washington betrayed America
L'estate scorsa, con la benzina a 4 dollari il gallone, i clienti acquistavano le piccole auto così velocemente che i rivenditori non riuscivano ad averne in magazzino. Ora, con la benzina che costa la metà, circa 500000 modelli a basso consumo sono accatastate invendute in tutto il paese.
Questa inversione arriva in un brutto momento per l'industria dell'auto americana, la quale ha rinnovato le proprie fabbriche e modificati i piani industriali per produrre più auto di piccole dimensioni nei prossimi anni. Queste mosse sono indotte dai nuovi criteri federali riguardanti i consumi energetici e dal piano di aiuti dell'amministrazione Obama, il quale incoraggia i produttori di autoveicoli ad aumentare l'autonomia energetica dei propri veicoli.
Praticamente tutte le auto di piccole dimensioni del mercato sono ferme presso i concessionari. Alla fine di Febbraio, Honda Motor Co. aveva 22191 Fit invendute, un'offerta pari a 125 giorni agli attuali ritmi di vendita, secondo Autodata Corp. Nel luglio scorso, aveva un'offerta pari a nove giorni, mentre si considera normale un'offerta pari a 55-60 giorni.
Per altri modelli la situazione è addirittura peggiore. Toyota Motor Corp. ha abbastanza Yaris da durare 175 giorni. Chrysler LLC ha un'offerta sufficiente per 205 giorni della Dodge Caliber. Ed i concessionari Chevrolet hanno Aveo sufficienti per 427 giorni. Al ritmo di vendita odierno, General Motors Corp. potrebbe fermare la produzione di Aveo fino al 24 maggio 2010 prima di finire le scorte.
"Penso che agli americani non piacciano le auto di piccole dimensioni", sostiene Beau Boeckmann, la cui ditta Galpin Ford nella California del Sud è la concessionaria più grande del paese. "Le guidano quando sono costretti, quando il prezzo della benzina è alto. Ma noi siamo grandi persone e ci piacciono le grandi automobili".
L'impasse per le piccole auto è causata in parte dalla recessione, la quale ha indebolito le vendite di ogni tipo di autoveicolo. Ma mette in evidenza come l'industria sia stata beffata dai prezzi della benzina. Un anno fa, l'industria dell'auto americana reagì velocemente quando gli americani smisero praticamente di comprare i grossi veicoli e spostarono la domanda sui modelli ibridi e di piccole dimensioni.
Ford decise di riconvertire alcuni impianti spostando la parte della produzione dai camion alle piccole macchine. General Motors aggiunse un segmento di produzione all'impianto di Lordstown, Ohio, per produrre la Chevy Cobalt, una piccola berlina. Anche le marche d'importazione aumentarono la loro produzione di piccole macchine.
Autoway Honda a Clearwater, Fla., la scorsa estate faticava a tenere il passo delle vendite di modelli come la Civic o la Fit. "Quando qualcuno entrava, usciva con un modello praticamente il giorno stesso", dice Brian Speas, il direttore della concessionaria.
Ora, Mr. Speas fatica a trovare clienti che vengano a dare un'occhiata. Ha un'intera fila di Civic ibride che interessano poco, e una mezza dozzina di Fit invendute da circa tre mesi.
Nonostante l'eccesso di piccole auto, molti construttori rimangono convinti che l'aumento del prezzo della benzina è stato l'inizio di uno spostamento di lungo periodo delle richieste verso le auto di piccole dimensioni. Il capo analista vendite di Ford, George Pipas, dice che da ottobre a febbraio le vendite di piccole auto sono state 718000. Un calo del 28% rispetto allo stesso periodo del 2008, ma le auto di piccole dimensioni sono salite al 18,4% del mercato totale, in aumento di 2,1 punti rispetto all'anno precedente.
"La nostra previsione è che assisteremo a cambiamenti sociali, demografici ed economici che indurranno all'acquisto di auto di piccole e medie dimensioni", sostiene Mr. Pipas.
Per ora, comunque, i concessionari faticano a disfarsi delle auto economiche ormai coperte di polvere. Mr. Speas, il concessionario in Florida, ha appena lanciato una campagna pubblicitaria radiofonica offrendo leasing per la Civic allo stesso prezzo dei modelli di riferimento a benzina. L'estate scorsa, il modello ibrido costava circa 130 dollari al mese in più del modello tradizionale.
Ma il fascino di questi incentivi svanisce quando il prezzo della benzina non sembra così elevato.
Wes Bean, un dirigente di 37 anni di una compagnia di mutui in Charlotte, N.C., iniziò a cercare una piccola auto la scorsa estate, Civic inclusa. Ma presto, il padre di due piccoli bimbi e sua moglie indirizzarono le proprie attenzioni verso il mercato dell'usato. Poche settimane dopo, comprarono una Nissan Quest usata tramite Ebay Motors su internet.
"La benzina era un grosso problema ai tempi", sostiene. "Fortunatamente, toccando ferro, i prezzi non torneranno facilmente a tre o quattro dollari al gallone".
Industry's big hope for small cars fades
vedi anche:
Inflazione deflazione rosso-flazione blu-flazione
Crollo dei prezzi delle auto usate
I grafici a fianco raffrontano l'andamento degli indici di borsa odierni con i due maggiori precedenti storici di depressione, quella successiva al crollo di borsa del 1929 e quella ancora
in atto in Giappone, successiva al crollo del 1989.
Nel primo dei due grafici, confrontando i valori nominali degli indici, possiamo notare come in entrambi dei due precedenti gli indici siano arrivati a perdere fino a circa il 90% del loro valore prima delle crisi. Nel caso del 1929 ci vollero ben 25 anni per rivedere gli indici sui massimi precedenti al crollo. Per quanto riguarda il Giappone, 20 anni dopo il crollo l'indice nikkei vale soltanto il 20% circa del suo valore del 1989, rendendo probabile tempi di recupero ancora più lunghi. La crisi odierna è del tutto in linea con i due precedenti, avendo perso per il momento il 50% del suo valore dai massimi del settembre 2007.
Nel secondo grafico gli indici sono ricalcolati tenendo conto della variazione del prezzo dell'oro, uno dei metodi per poter tenere conto dell'inflazione effettiva registrata durante i tre periodi. Si possono così notare due differenze sostanziali con il primo grafico. Innanzitutto i massimi precedenti al crollo della crisi odierna non corrispondono a quelli nominali, ma risalgono al 1999, come spesso abbiamo evidenziato in alcuni post precedenti (vedi qui e qui e qui). Diverso anche l'andamento dell'indice nikkei che dopo aver perso il 50% dal 1989 al 1997, tornava nel 1999 quasi sui livelli precedenti al crollo, per poi capitolare nuovamente. Tenendo conto di queste variazioni, il crollo odierno (soprattutto nel caso del Giappone) sarebbe già molto vicino ai minimi raggiunti nel caso del 1929 quando l'indice perse il 90% del suo valore.
vedi anche:
Sarà un altro Giappone? (pt. II)
Occupazione e PIL in recessione
Preparandosi per la grande retromarcia
Continua il rallentamento del commercio globale come conf
ermano anche i dati riguardanti la flotta di navi porta-container non utilizzate.
Il volume dei container inutilizzati si è all'incirca decuplicato da ottobre 2008 ad oggi, passando da 150000 teu (unità di misura utilizzata per i container) a 1410000 teu; mentre il numero delle navi ferme è salito da 70 a 484 nello stesso lasso di tempo.
Le prospettive rimangono fortemente negative, sarà però molto importante verificare l'andamento nei prossimi mesi, i quali normalmente registrano un aumento delle spedizioni dovuto soprattutto al fattore meteorologico ed alle produzioni agricole stagionali.
vedi anche:
Asia sempre più lontana
Crolla il traffico di merci
Preparandosi per la grande retromarcia
Peggiori delle attese i dati relativi alla produzione industriale negli Stati Uniti, scesa a febbraio dell'1,4% rispetto al mese precedente e dell'11,2% rispetto a febbraio 2008, co
n l'indice di utilizzo degli impianti sceso sui livelli minimi fatti registrare nel 1982.
Il calo convolge tutti i settori con l'eccezione della produzione di beni durevoli di consumo, i quali a febbraio mettono a segno un rimbalzo dell'1,6% rispetto a gennaio trainati dalla produzione di autoveicoli in recupero dell'8,5%.
Essendo l'indice della produzione industriale uno degli indici di più lunga data, è interessante notare il suo andamento relativamente alle crisi precedenti.
Dal secondo grafico si nota come cali anche rilevanti come quello corrente della produzione industriale non abbiano comportato altrettanto rilevanti contrazioni da parte del prodotto interno lordo, sia nominale che reale.
Ripercussioni più gravi sul pil si sono verificate durante la grande depressione e nella crisi del 1948, quando però la produzione industriale scese del 20-30%, cosa che non dovrebbe accadere nella situazione odierna dove le previsioni peggiori arrivano ad un calo del 15%, ma certamente da non escludere.
vedi anche:
Employment situation feb-09
Durable goods gen-09
Nonostante alcune moratorie sui pagamenti di mutui siano ancora in essere, il num
ero dei pignoramenti è salito nuovamente a febbraio di circa il 6% rispetto a gennaio.
Il dato è abbastanza sorprendente perchè molti sono stati gli sforzi da parte dell'amministrazione e da parte delle banche per fermare questa tendenza.
Il dato della Florida è particolarmente significativo perchè dimostra come le moratorie possano solamente dilazionare un problema che però non può scomparire, infatti scaduta la moratoria a febbraio i pignoramenti hanno ripreso a crescere di circa il 14%.
Le situazioni più preoccupanti si verificano nello stato del Nevada, dove si registra il tasso di pignoramento maggiore con un pignoramento ogni 70 case, seguito da Arizona, California e Florida con un pignoramento ogni 150-200 case.
vedi anche:
Il crollo immobiliare coinvolge i centri commerciali e gli edifici finanziari
Insolvenze raddoppiate in un anno
L'indice di fiducia delle piccole imprese perde a febbraio un punto e mezzo, scendendo a 82,6.
Le dieci componenti dell'indice sono tutte peggiorate rispetto allo stesso mese del 2008, con una diminuzione senza precedenti delle aspettative riguardanti le vendite future.
Rispetto a gennaio sono invece leggermente migliorati, seppur rimanendo in territorio negativo, le aspettative sugli utili e quelle sull'occupazione.
A pesare negativamente sull'indice a febbraio sono le aspettative sull'andamento dell'economia in generale e quelle riguardanti le vendite attese, queste ultime fanno segnare un nuovo record negativo nei 35 anni di storia dell'indice.
vedi anche:
Piccole imprese soffrono
Ora è il turno degli imprenditori del settore edile a richiedere gli aiuti di stato.
Entro aprile, il governo federale prevede di approvare un piano per rifinanziare gli edifici ad uso ufficio ed i centri commerciali a richio di fallimento. La dimensione dell'intervento sarà probabilmente enorme: la settimana scorsa il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha accennato ad un credito di mille miliardi di dollari.
L'obiettivo, ha dichiarato, è evitare una "crisi imminente" che potrebbe dilagare ben oltre i cartelli "Affitasi" ed i negozi chiusi nei centri commerciali. Per ora, le insolvenze del settore commerciale sono poche. Ma il numero degli uffici vuoti sta raggiungendo livelli record, secondo alcune stime, e le banche sono esposte con 1720 miliardi di dollari di mutui immobiliari al settore commerciale, alla data del 18 febbraio.
Altrettanto significativo, molte compagnie assicurative e fondi pensione hanno investito nel settore e sono ora esposte a questo richio.
"La questione è urgente", dichiara Kenneth Rosen, professore alla University of California in Berkeley. "E' importante prendere provvedimenti prima di avere un altro problema".
300 miliardi di dollari di debito
Quest'anno circa 300 miliardi di dollari di debito dovranno essere rifinanziati dalle banche commerciali. Dato il calo dell'economia, molte imprese immobiliari potrebbero non essere in grado di sopravvivere senza il rifinanziamento dei mutui a tassi migliori e che rispecchino maggiormente le condizioni economiche correnti. Ma le banche sono sempre più restie a rifinanziare a causa del crollo del valore degli immobili.
Ogni aiuto agli imprenditori edili, alcuni dei quali sono famosi per il loro stile di vita stravagante (pensate a Donald Trump), farebbe comunque parte del salvataggio delle banche.
"Le banche sono esposte in misura significativa", dice Mr. Rosen.
Per poter liberare il denaro per il settore immobiliare commerciale, il Tesoro e la Federal Reserve starebbero per attivare un programma federale chiamato Term Asset-backed Loan Facility (TALF) il prossimo mese. Questo programma è già attivo per il finanziamento delle obbligazioni strutturate legate alle carte di credito ed ai prestiti per l'acquisto di autoveicoli.
Grattacieli e fondi pensione
La preoccupazione riguardante il mercato immobiliare del settore commerciale riguarda non soltanto le banche ma anche le compagnie assicurative ed i fondi pensione che hanno investito in immobili o fatto prestiti ai costruttori.
"Ora, in qualche maniera, c'è il potenziale perchè la crisi finanziaria dilaghi anche al settore assicurativo e dei fondi pensione", dice Jon Southard di CBRE Torto Wheaton Research, una società di ricerca del settore immobiliare.
L'impatto della recessione si è già fatto sentire. Il mercato delle obbligazioni strutturate legate ai mutui, chiamate Commercial Mortgage Backed Securities, è fermo dal luglio scorso. Ora, anche le obbligazione con rating migliore, per quelle imprese viste come sostanzialmente senza rischio, valgono così poco da rendere dall'11% al 12% di tasso di interesse.
Il rischio è che qualche grossa banca sia costretta a vendere i titoli in suo possesso, deprimendo il mercato, sostiene Mr. Southard. "Le banche non sono necessariamente investitori di lungo periodo", aggiunge.
Senza nuovi prestiti a disposizione dei nuovi edifici commerciali, "tutto sarà rimandato", dice Rosen. "Non ci saranno nuove costruzione nel 2010 o 2011".
Molti dei problemi dei magnati immobiliari sono causati dalla recessione. A seguito dei licenziamenti, le imprese stanno riducendo lo spazio necessario da dedicare ad ufficio. Lo spazio di uffici vuoti alla fine del 2008 è salito al 14%, dal minimo del 12,5% registrato a metà 2007, secondo Southard.
"Ma pensiamo possa salire al 20% nel 2011" dice. Sarebbe un record di tutti i tempi.
Affitti più bassi?
A seguito dell'aumento dei cartelli "Affittasi" fuori dagli edifici per uffici, gli affitti probabilmente scenderanno. "Prevediamo un calo a due cifre nei prossimi tre anni", dichiara Southard.
Un esempio di come il mercato è peggiorato: la torre John Hancock a Boston. Broadway Partners comprò la torre di vetro blu e argento per 1,3 miliardi di dollari nel 2006. Oggi, basandosi sugli affitti e le previsioni di occupazione dell'area metropolitana di Boston, potrebbe valere da 575 a 735 milioni di dollari, dice Victor Calanog, direttore della ricerca a Reis, una società di consulenza immobiliare di New York.
"Quando l'edificio fu acquistato, fu un anno molto buono, ed il prezzo era ragionevole, se gli anni buoni fossero durati", dice Mr. Calanog.
A Miami, gli affitti di uffici sono scesi ai livelli del 2003, dice Tere Blanca, presidente ed amministratore di Blanca Commercial Real Estate Inc. Gli uffici vuoti sono il 13% del totale.
Vetrine vuote nei centri commerciali
Problemi sono apparsi inaspettatamente anche nei centri commerciali. Nei grandi centri commerciali gli spazi vuoti hanno raggiunto il 7,1% nel quarto trimestre del 2008, il livello più alto dal 2000, secondo Reis. "Stanno soffrendo in quanto, per la prima volta in 17 anni, i consumi stanno diminuendo.
Quando un centro commerciale perde un commerciante al dettaglio, l'effetto può espandersi agli altri commercianti nella stessa area.
"I negozi vuoti in un centro commerciale spaventano i clienti alla stessa maniera delle abitazioni abbandonate", dice Todd Sinai, professore alla Wharton School della University of Pennsylvania di Philadelfia. "Quindi se un commerciante smette di vendere non si riescono a trovare nuovi affittuari".
In alcuni casi, i gestori dei centri commerciali sono insolventi sui propri mutui. Il gestore della Promenade at Dos Lagos in Corona, California, ha saltato due pagamenti. Ma Joshua Poag, dice tramite email che l'azienda non ha problemi nei suoi altri otto centri commerciali. In effetti, il tasso di insolvenza sui mutui commerciali è soltanto dell'1% in questo momento.
"Il problema è il rifinanziamento", sostiene Rosen
Opportunità fra le macerie
Almeno un investitore immobiliare senza debiti, il Gaedeke Group di Dallas, Texas, vede l'odierna situazione come un'opportunità.
"Stiamo pensando di fare degli investimenti", dice Belinda Dabliz, vice presidente del leasing. "C'è molto debito da rifinanziare, e manca un modo per poterlo ristrutturare".
Ma se gli aiuti del governo non arrivano, "vedremo un'ondata di insolvenze", sostiene Rosen.
Ciò significa che imprenditori immobiliare del tipo di Mr. Trump o Mort Zuckerman, che conducono uno stile di vita da ricco e famoso, chiederanno aiuto al governo?
"La forte speranza è che ogni operatore nei mercati in difficoltà sopravviva a questa crisi in qualche maniera", dice Calanog. "La difficoltà sta nell'assicurarsi che coloro i quali si sono comportati in maniera sbagliata, hanno prestato, preso in prestito o pagato troppo, siano penalizzati, altrimenti entriamo nella classica sfera del "moral hazard".
Real estate woes seep into malls, office tower
vedi anche:
Insolvenze raddoppiate in un anno
Fondamentali della finanza strutturata USA
Conseguenze dei pignoramenti: case in vendita a 1 dollaro
Continua a salire il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti che ha raggiunto a febbraio l'8,1%, il livello più alto dal dicembre del 1983.
Il primo grafico a fianco ci permette invece di osservare la situazione sotto il profilo dell'occupazione e ci mostra un quadro ancora peggiore.
Il numero totale degli occupati è infatti diminuito a febbraio di circa il 3% rispetto all'anno precedente, livello ben peggiore della recessione del 1981-82 che ebbe come massimo una diminuzione dell'1,5% ed anche della recessione del 1973-75 che raggiunse un calo del 2%.
Per vedere livelli così bassi si deve tornare alle tre recessioni successive alla seconda guerra mondiale, le quali raggiunsero un tasso negativo di circa il 3%; considerando però che le previsioni sono per un ulteriore peggioramento anche queste recessioni sarebbero superate in gravità.
Nel secondo grafico sono invece rappresentati i livelli raggiunti dall'occupazione nei mesi successivi dall'inizio della recessione.
Possiamo notare come la recessione corrente sia, sotto questo profilo, la più grave del dopoguerra, avendo visto, dal suo inizio, la percentuale maggiore di perdita di posti di lavoro.
vedi anche:
Employment situation gen-09
Occupazione e PIL in recessione
"The US dollar shortage in global banking" è uno studio appena pubblicato dalla
BIS, Bank for International Settlement, il quale indaga le cause che hanno portato alla improvvisa scarsità di dollari nel sistema bancario globale verificatasi alla fine di settembre 2008.
L'aumento delle posizioni in valuta straniera, in larga misura dollari, da parte delle istituzioni bancarie inizia sul finire dell'anno 2000 per poi crescere a ritmi sempre più elevati, dal 10% del 2001 fino ad arrivare ad un aumento del 30% nel 2007, ed è localizzato soprattutto nel settore bancario europeo.
Le banche europee hanno, per tutto questo periodo, fatto affidamento innanzitutto sulla raccolta da parte della vasta rete di filiali per poi tramite operazioni di currency swaps convertire le divise locali (sterline, euro e franchi svizzeri) in maniera da poter finanziare i loro attivi, denominati in dollari, per importi sempre crescenti.
Inoltre le banche facevano affidamento sui finanziamenti interbancari e su quelli ottenuti dalla banca centrale.
Così è aumentato però di molto il rischio collegato agli strumenti utilizzati per reperire i dollari, sia per quanto riguarda i finanziamenti interbancari che per quanto riguarda le operazioni di currency swaps.
Inoltre a questo bisogna aggiungere il rischio temporale derivante dal fatto che la gran parte dei finanziamenti erano a breve termine mentre gli investimenti erano sul lungo periodo.
A partire dall'agosto 2007 con il primo collasso del sistema dei finanziamenti interbancari iniziarono le difficoltà da parte delle banche a trovare nuovi finanziamenti facendo crescere così il ricorso ai finanziamenti da fonti non bancarie e rendendo più costoso il ricorso ai currency swaps.
A rendere poi la corsa per l'accaparramento di dollari sempre più difficile è il fallimento di Lehman Brothers, a cui fecero seguito il ritiro dai mercati finanziari di grosse quantità di denaro da parte dei fondi d'investimento e soprattutto da parte di alcune banche centrali dei paesi emergenti, le quali sottrassero questi fonda ai mercati internazionali per destinarli al proprio sistema bancario nazionale.
la ricerca completa può essere scaricata a questo link:
The US dollar shortage in global banking
vedi anche:
Perchè non riuscite ad ottenere un prestito
Fondamentali della finanza strutturata USA
Ancora un altro report negativo sull'economia americana, peggiorata nuovamente a febbraio secondo il nuovo sondaggio di Ch
angeWave Research dedicato ai consumi.
Dopo il leggero recupero di gennaio le previsioni dei consumatori tornano sui livelli minimi di dicembre 2008, sia per quanto riguarda le previsioni di spesa, sia per quanto riguarda l'economia in generale.
I consumi sono previsti in calo soprattutto nel settore dell'elettronica, della ristorazione e dello svago ed in quello degli elettrodomestici per la casa; mentre si intravede una qualche stabilizzazione negli ultimi mesi delle spese per la manutenzione della casa.
Molto interessante sono le risposte al quesito riguardante le motivazioni che porteranno alle prossime riduzioni dei consumi e che possiamo vedere riassunte nei grafici a fianco.
La causa primaria della riduzione della spesa è la diminuzione del reddito, seguita dalla maggiore propensione al risparmio e dalla volontà di ridurre il livello del debito, mentre non si è verificato quasi nessun traferimento di fondi dal consumo agli investimenti.
vedi anche:
Personal income and outlays dic-08
Continua senza sosta il calo del mercato dell'edilizia, le nuove costruzioni sono diminuitea gennaio del 3,3% rispetto al mese precedente e del 9,1% rispetto al gen
naio 2008; a scendere maggiormente è però stavolta la spesa non residenziale in calo del 4,33% rispetto al calo del 2,91% dell'edilizia residenziale.
Come si nota dal primo grafico ciò non si verificava dall'inizio dello scoppio della bolla immobiliare alla fine del 2005, quando la spesa residenziale iniziò a crollare mentre quella non residenziale continuò a crescere fino al secondo semestre del 2008, per poi diminuire ma sempre a ritmi moderati ed inferiori a quelli della spesa residenziale.
E' probabile che questa inversione di tendenza segni l'inizio del declino anche della spesa non residenziale la quae, nonostante una piccola correzione, è ancora prossima ai livelli massimi.
Analizzando le principali componenti della spesa non residenziale nel secondo grafico, si può notare come il calo abbia inizialmente avuto luogo nel settore commerciale, per poi passare anche a quello degli uffici ed ultimo in ordine temporale al settore energetico in calo a gennaio dopo essere cresciuto fino al mese di dicembre 2008 quasi senza interruzioni (vedi qui), mentre rimane ancora stabile la spesa nel settore industriale.
Nei prossimi mesi sarà quindi importante monitorare soprattutto questi ultimi due settori, i quali versano in gravi difficoltà a causa del crollo del prezzo del petrolio, quello energetico, e dell'aumento della disoccupazione, quello industriale.
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Sono in continua crescita i mancati pagamenti di rate di mutui e
prestiti alle banche commerciali.
Nel quarto trimestre 2008 sono saliti di circa il 30% rispetto al trimestre precedente e del 95% rispetto allo stesso trimestre del 2007 passando da 168 a 328 miliardi di dollari, percentuali record dall'inizio delle statistiche nel 1985.
A guidare l'aumento il settore dei mutui immobiliari con ritmi di crescita superiori rispetto agli altri settori che lo hanno portato a contare per circa il 70% del totale delle infrazioni.
All'interno del settore immobiliare le infrazioni sono superiori nel settore residenziale rispetto a quello commerciale, ma ciò è dovuto al momento dal maggiore ammontare dei mutui all'edilizia residenziale rispetto a quelli dell'edilizia commerciale; in realtà le infrazioni si attestano su percentuali simili, intorno al 6%, per entrambi i settori.
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Ancora dati economici negativi: i nuovi ordini di beni durevoli sono diminuiti nel mese di gennaio del 5,2% rispetto al mese precedente e del 23,3% rispetto al gennaio 2008, quest'ultimo dato è il record negativo dall'inizio delle statistiche nel 1960.
Il dato non ha avuto ripercussioni immediate sull'indice di borsa per via del fatto che quest'ultimo, almeno per il momento, sconta già una parte delle notizie economiche negative.
Come si può notare dal primografico però, gli ordini di beni durevoli sono un buon anticipatore dell'andamento di borsa anticipandone le inversioni di tendenza di circa un anno.
L'ulteriore crollo di gennaio rende quindi difficile una ripresa economica a breve dell'economia.
Unica nota positiva è il calo, seppur limitato, delle scorte che scendono a gennaio dello 0,82% dopo essere cresciute quasi ininterrottamente negli ultimi cinque anni.
Diminuzione che però è poca cosa in confronto al crollo dei nuovi ordini, portando così il rapporto tra scorte ed ordini al livello massimo dal 1992 e rendendo necessarie ulteriori diminuzioni prima di poter assistere ad una ripresa.
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Dopo Corea del Sud e Cina, il processo di riaggiustamento dell'economia globale colpisce gravemente anche il Giappone: il dato sulla bilancia commerciale disegna infatti un quadro a dir poco preoccupante.
A gennaio le esportazioni sono scese del 15,7% rispetto al mese precedente e di un impressionante 45% rispetto al gennaio 2008.
A pesare maggiormente il calo dei prezzi generalizzato, meno 13,5% in un anno, ed una domanda dall'estero in diminuzione soprattutto per quanto riguarda gli autoveicoli, le cui esportazioni sono crollate del 66% in un anno.
Non molto meglio il dato delle importazioni, in calo del 7,3% rispetto a dicembre e di circa il 30% rispetto al gennaio 2008.
Anche in questo caso a pesare è soprattutto il crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime di circa il 25% in un anno.
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"Vuoto", dice Jack Rodman, un esperto immobiliare, mentre indica, dalla finestra del suo ufficio al quarantesimo piano, un prisma di color argento che si innalza verso il cielo di Pechino. "Un bellissimo edificio, ma neppure un inquilino, completamente vuoto". "Vuoto". Questo è il ritornello mentre il suo dito saltella da un edificio all'altro, sempre più velocemente, e solamente pochi di essi sono a malapena occupati scarsamente.
L'espansione immobiliare ha avuto inizio a Pechino precedentemente alle Olimpiadi, riempiendo la seria capitale comunista di prodezze architettoniche angolate che primeggiavano sulle prime pagine dei giornali di design. Ora, a sei mesi dalla fine delle Olimpiadi, la città continua ad impressionare di notte, grazie ai neon ed alle luci diffuse sino all'orizzonte. Di giorno, invece, è evidente che molti sono edifici "invisibili", per usare un termine coniato durante l'espansione immobiliare degli anni '80 in Texas.
Secondo i calcoli di Rodman, 500 milioni di piedi quadri di edifici commerciali sono stati costruiti a Pechino dal 2006, più dell'intero spazio per uffici presente a Manhattan. E non sono inclusi i grossi progetti sviluppati dal governo. Egli sostiene che 100 milioni di piedi quadri di uffici sono sfitti, un'offerta per i prossimi 14 anni se venissero affittati ai ritmi migliori, dal 2004 al 2006, quando vennero occupati 7 milioni circa di piedi quadri all'anno.
"L'enorme sviluppo è stato senza precedenti nel mondo", dice Roadman, nato a Los Angeles ma che vive a Pechino e dirige una ditta chiamata Global Distressed Solutions. "E' una cosa contro logica, non ha nessun senso".
Le gru si scorgono ancora all'orizzonte, ma sempre più sono ferme, in attesa di nuovi finanziamenti per poter riprendere il lavoro. I cartelloni pubblicitari annunciano nuove attrazioni, "una iconica pietra miliare" o "paese delle meraviglie internazionale", che sono ancora da completare. Una zona commerciale in un progetto chiamato "La Vibrant shopping street" è vuota.
In un paese dove le proteste sono rare, i lavoratori immigrati si ritrovano di fronte a molti progetti in costruzione per dare voce alle loro proteste. "Il nostro datore di lavoro è scappato con il denaro ed è ora introvabile", dice Li Zirong, un lavoratore immigrato dalla provincia Shaanxi, che era responsabile di un edificio spettacolare con le finestre a forma di oblò.
Ciò che differenzia questo ciclo di espansione-recessione da quelli occidentali è il fatto che in Cina è assente la proprietà privata dei terreni, il che rende i governi locali soci di fatto dell'industria immobiliare, con grossi profitti derivanti dall'affito e dalla vendita dei terreni stessi.
Huang Yasheng, un economista del Massachusetts Institute of Technology, indica come responsabile della crisi il Partito Comunista Cinese e la sua resistenza verso una vera economia di mercato. "La mancanza di una riforma della terra ha alimentato la bolla immobiliare ed ora si sta riflettendo in negativo", dice Huang, autore di "Capitalismo con caratteristiche cinesi", pubblicato l'anno scorso. "Avrebbero dovuto esserci più controlli e contrappesi nei confronti dell'attività di acquisto dei terreni da parte del governo".
Il governo ha speso 43 milioni di dollari per le Olimpiadi, circa il triplo di qualsiasi altra città ospitante. Ma molte degli edifici si sono rivelati troppo grandi, costosi e più fotogenici che pratici.
Lo Stadio Nazionale, noto come il Nido degli Uccelli, ha solamente un evento in realizzazione quest'anno: una rappresentazione dell'opera "Turandot" l'8 agosto, il primo anniversario della cerimonia iniziale delle Olimpiadi. La squadra di calcio cinese più importante si è rifiutata di giocarci, affermando che sarebbe imbarazzante utilizzare uno stadio da 91000 posti per delle partite che normalmente attraggono 10000 spettatori. L'edificio, che costa 9 milioni di dollari l'anno di manutenzione, è destinato a diventare un complesso commerciale nei prossimi anni, ha annunciato il proprietario il mese scorso.
Uno stadio da baseball inaugurato la scorsa primavera con una partita tra i Dodgers ed i San Diego Padres è stato demolito. Il proprietario ha dichiarato anch'egli di voler utilizzare il terreno per un centro commerciale.
Tra gli edifici olimpici principali solo il Centro Acquatico Nazionale, soprannominato il Cubo d'Acqua, ha avuto una seconda vita produttiva. E' usato per spettacoli di suoni e luci, con fontane di luci danzanti nelle corsie di nuoto dove Michael Phelps ha conquistato le sue medaglie d'oro.
Tutto intorno al complesso olimpico, ci sono edifici vuoti e cupi, come il centro di informazione dei Giochi, ancora in attesa di occupanti. Una galleria commerciale che si estende per circa un quarto di miglio lungo la strada che parte dal complesso è vuota.
"Hanno voluto costruire 'il più grande al mondo questo' ed "il più grande al mondo quello', ma questi edifici hanno un beneficio economico di lungo periodo pari a zero", sostiene Huang.
Inoltre, lo svolgimento delle Olimpiadi di Pechino ha portato a circa un milione e mezzo di residenti sfrattati dalle proprie case, secondo il Center on Housing Rights and Evictions di Ginevra.
In questa stimolante città di 17 milioni di abitanti, c'è un'insaziabile domanda di case, ma i prezzi rimangono fuori dalla portata di molti residenti. Le case indipendenti in stile americano in comunità recintate con nomi come Versailles, Provende, Arcadia o Riviera, sono in vendita per più di un milione di dollari. All'interno della Fourth Ring Road, la circonvallazione che delimita la parte centrale della città, gli appartamenti di due o tre camere sono offerti a 800000 dollari in condomini come Central Park e Riverside.
"Questi sono prezzi simili a quelli di New York, ma noi siamo cinesi. Non abbiamo quelle somme di denaro", dice Zhang Huizhan, un imprenditore di 55 anni che possiede un'azienda di mobili cinese. Da cinque anni è alla ricerca di un appartamento per lui e la moglie con 150000 dollari a disposizione.
Il salario medio a Pechino è meno di 6000 dollari all'anno.
Louis Kuijis, economista della World Bank a Pechino, sostiene che una mancanza di supervisione da parte del governo sull'industria immobiliare ha spinto i costruttori a dedicarsi solamente al mercato del lusso ignorando il mercato di massa. "Se tu pensi che la domanda è infinita per qualsiasi tipo di costruzione ed hai solamente 200 metri quadri di terreno, costruirai appartamenti di lusso per trarne il profitto maggiore", afferma Kuijis.
Dal canto suo, il governo ha riconosciuto nel 2007 che il mercato immobiliare andava incontro ad una bolla, secondo gli economisti. Nel tentativo di rendere gli immobili più accessibili, furono introdotte delle restrizioni per la proprietà di seconde case e per gli acquirenti stranieri. Ma le misure arrivarono troppo tardi, accellerando il crollo in un mercato ormai debole.
L'Ufficio Municipale di Statistica di Pechino ha riportato che le vendite di case nella città sono scese del 40% l'anno scorso. Gli economisti cinesi prevedono che i prezzi scendano ulteriormente del 15-20% quest'anno a Pechino. Shanghai ha sofferto di un crollo simile.
"Si può guardare a questo processo come una correzione salutare per il mercato", dice Kuijs. Nel lungo periodo, dice, "l'urbanizzazione della Cina ed il suo ulteriore sviluppo porterà ad una crescita della domanda immobiliare molto forte nella città".
Prima che questo accada, la situazione potrebbe peggiorare. Molti degli immobili sono stati finanziati dalle banche cinesi, che hanno evitato di rettificare i prestiti. Nel caso fossero costrette a farlo in futuro, questo avrebbe probabilmente un effetto a catena su tutta l'economia.
"Alla fine, qualcuno deve pagarne le conseguenze", sostiene l'esperto immobiliare Roadman.
Beijing's Olympic building boom becomes a bust
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Negozi sfitti
Torna a scendere a febbraio l'indice PMI dell'eurozona dopo il legger
o aumento fatto registrare a gennaio.
In calo sia la componente relativa all'industria manifatturiera che si attesta a 33,6 contro i 34,4 di gennaio, ma soprattutto quella relativa ai servizi in calo di ben 2,3 punti da 42,2 a 38,9.
Il dato indica, con molta probabilità, un prodotto interno lordo ancora in calo nel primo trimestre del 2009 e soprattutto un ulteriore peggioramento della situazione sul fronte dell'occupazione.
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Philadelphia Fed index feb-09
Peggiora nuovamente l'indice che registra l'attività manufatturiera compilato dalla Federal Reserve di Philadelphia.
A febbraio l'indice è sceso a -41,3 contro il -24,3 di gennaio, livello più basso dal 1990.
Come si nota dal primo grafico sono tutte in negativo le componenti che formano l'indice, con gli indicatori riguardanti l'occupazione a guidare il crollo raggiungendo livelli mai raggiunti dal 1968, anno di costituzione dell'indice.
Una buona notizia arriva invece dall'indice che rileva l'attività futura, ovvero le aspettative delle imprese per i prossimi sei mesi, che a febbraio si attesta a 29,6 contro i 16,7 di gennaio mettendo a segno il quarto mese consecutivo di crescita.
Nel secondo grafico si può osservare come questo indice in occasione delle passate recessioni abbia anticipato la ripresa economica di circa un anno, dovesse quindi in futuro mantenersi in positivo questo indicherebbe un miglioramento dell'economia entro il primo trimestre del 2010.
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Piccole imprese soffrono
Indice PMI manifatturiero
Le banche sostengono di erogare prestiti ma provate a dirlo ai consumatori che hanno difficoltà ad ottenere un mutuo o un prestito tramite carta di credito o per l'acquisto di un automobile.
Nelle ultime settimane, i politici hanno accusato le istituzioni finanziarie di non estendere abbastanza il credito, nonostante il fatto di aver ricevuto miliardi di dollari dei contribuenti negli ultimi mesi.
Ma i dirigenti bancari, inclusi gli otto amministratori delegati delle maggiori banche che hanno testimoniato di fronte al Congresso la settimana scorsa, sostengono di aver continuato ad erogare nuovi prestiti e che il paese avrebbe dovuto affrontare una crisi di liquidità ancora peggiore nel caso il governo non fosse intervenuto con i programmi di salvataggio.
Ad ogni modo, è difficile negare il fatto che l'accesso al credito sia diventato più difficile. Una ragione, secondo gli esperti, consiste nel fatto che molte istituzioni non bancarie che erogano prestiti, spesso chiamate "sistema bancario ombra", hanno ritirato enormi quantità di finanziamenti dal sistema economico.
I fondi comuni d'investimento e le compagnie assicurative, per esempio, erano in passato usuali compratori di obbligazioni emesse da compagnie alla ricerca di liquidità, sostiene Rick Spitler, direttore dell'agenzia di consulenza Novantas a New York, che si occupa delle istituzioni finanziarie. Ciò non accade più, costringendo le compagnie a rivolgersi alle banche per il credito.
Inoltre, i grossi investitori finanziari come gli hedge funds o i fondi pensione non sono più interessati ad obbligazioni legate a mutui, carte di credito o prestiti commerciali, limitando la capacità da parte delle banche di erogare nuovo credito.
"Il sistema bancario ombra non ha ancora recuperato abbastanza ed il capitale bancario non è sufficiente a colmare il deficit di offerta creditizia", dichiara Spitler.
Alcune banche o finanziarie cooperative hanno cercato di sostituire le grandi istituzioni finanziarie nell'erogazione di credito ma non riescono a soddisfare tutte le richieste di prestito, dice Sherrill Shaffer, insegnante di scienze bancarie alla University of Wyoming in Laramie e che ha lavorato come capo economista alla Federal Reserve Bank di New York per buona parte degli anni '80.
Nonostante questo, molte banche si stanno comportando come sempre durante una recessione, restringendo ogni tipo di credito e cercando di detenere la maggior parte del capitale a garanzia di eventuali ulteriori perdite.
Queste giustificazioni non hanno soddisfatto i molti consumatori che hanno mandato mail a CNNMoney.com per condividere le proprie esperienze.
George, residente a Wake Forest N.C., ha scritto in seguito alla testimonianza dei principali CEO delle banche davanti al Congresso, lamentandosi del fatto che Citigroup ha recentemente aumentato il tasso di'interesse sulla sua carta di credito dal 6% al 15% a causa dei costi di finanziamento più alti.
Anche le piccole imprese ne hanno risentito. Chris, vice presidente di un'impresa di commercio al dettaglio di Kansas City con più di 500 dipendenti, dice che la sua azienda sta ora incontrando molte difficoltà a trovare un prestito dopo che Bank of America ha chiuso la sua linea di credito.
Un altro piccolo imprenditore che possiede una ditta di costruzioni vicino a Savannah, Ga, dice di non essere riuscito ad ottenere un finanziamento da cinque diverse istituzioni, tra le quali il gigante regionale SunTrust, per l'acquisto di un terreno. "Benvenuti nel nostro incubo bancario", ci ha scritto.
Le banche contattate al riguardo, tutte beneficiarie di aiuti da parte dello stato, hanno dichiarato che stanno semplicemente cercando di gestire il rischio nell'attuale situazione creditizia e che alcuni cambiamenti subiti da consumatori o imprenditori sono giustificati in molti casi.
"Tutte le nostre decisioni riguardanti il credito sono prese nell'interesse dei nostri clienti, della nostra compagnia e degli investitori", ha dichiarato Wells Fargo in un comunicato.
Citigroup, che ha ricevuto 45 miliardi di dollari dal governo, dice di voler cambiare il tasso di interesse sulle carte di credito che non hanno subito variazioni negli ultimi due anni ed ha aggiunto che i clienti possono comunque rifiutare e continuare ad usare le proprie carte fino alla scadenza. "Stiamo attuando questi cambiamenti al fine di poter continuare ad erogare prestiti in questa situazione", ha dichiarato il portavoce di Citigroup Samuel Wang in un comunicato.
Altri esperti sostengono che le banche stanno innalzando i requisiti necessari, ma solamente nei confronti dei clienti a basso reddito.
Un sondaggio in rete su più di 1000 persone condotto a dicembre da Synergistics Research, una ditta di Atlanta specializzata in ricerche di mercato nel settore finanziario, ha rivelato che un consumatore su sei si è visto negato il credito negli ultimi tre mesi. Ma per le famiglie con reddito inferiore ai 50000 dollari l'anno, la percentuale sale al 25%.
Quindi qual'è il candidato ideale per ottenere un prestito oggigiorno?
"Qualcuno che non abbia nessun bisogno di denaro", dice Charles Wendel, che dirige Financial Institutions Consulting, una ditta di consulenza bancaria del Connecticut. Il credito rimane disponibile per quei consumatori con un'alto indice di solvibilità, un lavoro stabile ed una casa di alto valore, afferma Wendel. In altre parole, le banche stanno cercando di minimizzare il numero delle insolvenze. "Le banche stanno limitando le loro carte di credito", dice. "Stanno prestando ma prestano in maniera più selettiva".
Tuttavia, molti lettori hanno segnalato di aver avuto difficoltà ad ottenere un prestito nonostante non aver mai mancato un pagamento in passato.
Why you can't get a loan
vedi anche:
Credito difficile (pt. II)
Sono stati rilasciati dati preliminari sul prodotto interno del Gia
ppone nel quarto trimestre del 2008, che mostrano un'economia giapponese sempre più in difficoltà.
La contrazione è stata del 3,3% rispetto al trimestre precedente, il dato peggiore negli ultimi 35 anni, provocato in grandissima parte da un crollo verticale delle esportazioni, scese del 13,9% rispetto al trimestre precedente, un calo mai verificatosi in passato.
Nei grafici a fianco abbiamo voluto mostrare come negli ultimi 20 anni la situazione economica giapponese abbia continuato a peggiorare quasi ininterrottamente.
Nel primo grafico si può notare il crollo dell'indice di borsa Nikkei 225, che ha perso il 70% del suo valore nonostante gli interventi a sostegno dell'economia siano stati molti ed abbiano fatto lievitare enormemente il debito pubblico totale, aumentato del 277% circa.
Ciò ha portato il debito pubblico al 200% del prodotto interno lordo, senza peraltro ottenere risultati significativi neppure su quest'ultimo, cresciuto in media solamente dell'1,67% annuo.
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Sarà un altro Giappone?
Continua la corsa dei prezzi dei credit default swaps, ovvero costa sempre di più assicurarsi contro il fallimento di qualsiasi emittente di obbligazioni.
A cominciare dai paesi stessi, per continuare con le agenzie governative, le istituzioni finanziarie ed infine ogni tipo di emittente privato più o meno solvibile, tutti hanno visto aumentare di molto il prezzo pagato per assicurarsi da una loro possibile bancarotta.
Nell'ultima settimana a farne le spese è stata in particolare l'Irlanda, che ha visto il costo dei credit default swaps a 5 anni crescere di circa il 35% in una sola settimana, superando in questa speciale classifica la Grecia.
La causa principale ovviamente sta nei continui interventi dei governi in soccorso delle banche insolventi ed in sostegno all'economia dei vari paesi.
Interventi che hanno prodotto in alcuni casi delle situazioni difficilmente immaginabili fino a pochi mesi fa, come il fatto che alcune banche abbiano un rischio default inferiore ai paesi che, in questo momento, garantiscono sui depositi delle banche stesse.
In particolare questo è valido per le banche italiane, come Unicredit, e per quelle inglesi, Lloyds TSB e HSBC.
vedi anche:
Stati Uniti e Regno Unito sull'orlo di un disastro del debito
Ecuador in default
Italia a rischio default
La tabella a fianco è relativa al traffico di merci su rotaie fatto registrare a gennaio rispetto allo stesso mese dell'anno scorso sulle principali linee ferroviarie americane.
Il crollo avuto conseguentemente alla crisi economica è impressionante, delle 19 categorie di merci solo quella relativa alle merci varie è in aumento di un misero 2%.
Tutte le altre hanno fatto registrare diminuizioni record, a partire dal -63% degli autoveicoli, seguiti dai metalli ferrosi in calo del 55,5%.
Ma il crollo ha riguardato anche i prodotti alimentari, il trasporto di grano è sceso del 27% mentre quello degli altri prodotti agricoli del 48% circa.
vedi anche:
Baltic dry index e la globalizzazione
Secondo due report dell'agenzia di rating indipendente DBRS sarà un altro anno molto difficile per la finanza strutturata. Nei due report vengono analizzate le molte criticità rigua
rdanti i rendimenti e le nuove emissioni di obbligazioni strutturate e ne esce un quadro per nulla rassicurante per i prossimi anni.
Il primo report è dedicato alle obbligazioni collegate ai mutui residenziali, il comparto che più ha risentito delle distorsioni degli anni passati. Nel 2008 questo mercato si è praticamente bloccato e le emissioni di nuove obligazioni sono scese del 93,5% rispetto al 2007. A pesare in futuro saranno però soprattutto le obbligazioni emesse negli ultimi due anni, le quali hanno visto il valore degli immobili crollare senza sosta; ed in particolare quelle che hanno come collaterale mutui a tasso variabile legati ad opzioni (option ARMs), ovvero mutui per i quali le rate iniziali, normalmente nel primo e secondo anno, sono di molto inferiori a quelle che dovranno essere versate successivamente. Ovviamente molto dipenderà dall'andamento dei prezzi immobiliari che, in caso di ulteriori svalutazioni, potrebbero innescare nuove vendite cosidette "short sales" e nuovi pignoramenti.
Nel secondo report vengono analizzati tre altri tipi di obbligazioni strutturate, in particolare quelle legate ai prestiti studenteschi, alle carte di credito ed ai prestiti del settore auto. In questo caso l'elemento che avrà il maggior peso sarà il tasso di disoccupazione. In caso dovesse continuare ad aumentare non è difficile prevedere un conseguente aumento nei mancati pagamenti di rate da parte dei debitori.
le ricerche possono essere scaricate a questi link:
RMBS: 2008 year in review and outlook for 2009
ABS : 2008 year in review and outlook for 2009
vedi anche:
La triste fine della finanza strutturata
Continua a non dare segni di ripresa l'economia americana, anche a gennaio l'indice che riflette le aspettative delle piccole imprese (small business optimism ind
ex) scende perdendo 1,1 punti, e attestandosi a 84,1 ovvero la seconda rilevazione più bassa della sua storia che risale al 1974.
A pesare sull'indice sono in particolare le aspettative di ulteriore riduzione delle scorte da parte delle imprese ed il calo fatto registrare dagli utili.
Dal primo grafico, il quale riporta l'andamento delle scorte correnti (linea blu) e delle scorte future (linea rossa), si può notare come, nonostante la forte riduzione delle scorte correnti che si è verificata nel 2008, le piccole imprese continuino a ritenere il livello delle scorte troppo alto e pensino di ridurle ulteriormente nei prossimi tre mesi.
Nel secondo grafico è invece riportato l'andamento degli utili che ha raggiunto a gennaio il livello più basso dal 1974 quando è iniziata la rilevazione.
vedi anche:
Indice PMI manifatturiero
Il tasso di disoccupazione continua la propria corsa al rialz
o passando dal 7,2% di dicembre al 7,6% raggiunto nel mese di gennaio 2009.
La situazione non vede, per il momento, nessun segno di miglioramento. Anzi, a peggiorare maggiormente sono anche i tassi riguardanti la disoccupazione che includono anche altre categorie di lavoratori disoccupati i quali però non rientrano nel tasso ufficiale in quanto non hanno cercato un lavoro nelle ultime quattro settimane.
Tra questi i lavoratori che hanno smesso di cercare un lavoro perchè ritengono che non ci sia al momento nessuna possibilità di trovarlo (discouraged workers) oppure per altri motivi familiari o scolastici (other marginally attached workers).
Queste categorie sono anch'esse in continuo aumento come si nota dal primo grafico, e sono ora sui livelli massimi da quando vengono rilevate le statistiche, ovvero dal 1994.
Tenendo conto di questi lavoratori il tasso di disoccupazione risulta quindi più elevato, a gennaio dell'8,8% contro il 7,6% ufficiale, come mostrato dal secondo grafico.
vedi anche:
Ciclo economico a ritroso?
Occupazione senile, disoccupazione giovanile
noitalfed:1102