Continua a scendere l'indice dei prezzi immobiliari che registra un calo su base annua del 18%.
Nonostante la correzione in corso a partire dal 2006 i prezzi rimangono comunque circa il 30% superiori a quelli che si registravano nel 2001 prima dell'espansione monetaria e di circa il 10% superiori al livello di crescita medio da quando l'indice viene rilevato.
Dal secondo grafico si possono trarre due considerazioni importanti per l'andamento futuro.
La prima riguarda il fatto che, nonostante i cali di oltre il 30% dai picchi del 2006, i prezzi nelle aree che più avevano vissuto il boom espansivo (Miami, Los Angeles) sono ancora superiori a quelli di aree come Boston, le quali avevano avuto un andamento meno sostenuto; ciò rafforza la tesi che i prezzi possano ancora scendere.
La seconda osservazione riguarda l'andamento preoccupante dell'indice di Detroit, il quale, pur essendo cresciuto negli anni scorsi a livelli inferiori alla media, è ora ritornato addirittura sui livelli del 1998 aumentando le preoccupazioni sul fatto che in futuro il mercato immobiliare possa entrare in una seconda fase di declino, guidata stavolta dalla crisi economica ed occupazionale del paese.
vedi anche:
Investimenti immobiliari ancora in calo
Negozi sfitti
E' sceso dello 0,2% nel mese di novembre il reddito medio americ
ano, mentre il calo per quanto riguarda il reddito disponibile è stato dello 0,1%.
Come si nota dal primo grafico continuano a scendere i consumi, in calo dello 0,6%, mentre cresce la quota di reddito destinata al risparmio il quale raggiunge il 2,8% del reddito disponibile.
Una possibile buona notizia sembra però arrivare dal fronte dell'occupazione, infatti dopo ben dieci mesi tornano in positivo le retribuzioni reali; se questa tendenza dovesse essere confermata nei prossimi mesi potrebbe trasformarsi nel primo tassello di una possibile ripresa, nella quale però sono in pochi al momento a credere.
vedi anche:
Risparmio o consumo?
Personal income and outlays sett-08
Il grafico a fianco mostra la durata in mesi delle recessioni passate e la corrispondente contrazione in termini di prodotto interno lordo.
E' interessante notare il fatto che pur essendo iniziata ben dodici mesi fa, l'attuale recessione ha comportato solamente una contrazione dello 0,1% del prodotto interno lordo.
Sono però disponibili solamente i dati relativi al terzo trimestre di quest'anno, mentre molto più significativi saranno quelli relativi al quarto trimestre che verranno pubblicati il 30 gennaio 2009.
vedi anche:
Mercato immobiliare e recessione
Un confronto con il passato
Recessione al 100%
Ancora negativi gli indicatori economici americani, il leading index, uno degli indicatori più strettamente correlati con la crescita economica, è sceso a novembre dello 0,4% rispetto ad ottobre e del 3,7% rispetto a novembre 2007, un calo che non si verificava dalla recessione del 1990-91 la quale portò ad un calo del prodotto interno lordo dell'1,25%.
Analizzando le diverse componenti dell'indice emerge una situazione addirittura peggiore, dal primo grafico possiamo notare infatti che, negli ultimi tre mesi, le sole componenti positive sono ancora quelle monetarie, e principalmente la crescita dell'aggregato monetario M2 il quale, da solo, ha apportato un contributo positivo pari a 1,76 punti dell'indice.
Contrariamente a quanto è sempre accaduto in passato, recentemente questa crescita non si trasferisce all'economia reale in quanto le istituzioni finanziarie stanno, per il momento, accumulando riserve, come mostra il secondo grafico, annullando quindi il possibile effetto positivo derivante dall'aumento dell'offerta di moneta.
Se consideriamo questo aspetto ed andiamo ad eliminare questa componente dall'indice il calo rispetto all'anno precedente passa dal 3,7% al 5,4%, portandosi sui livelli della recessione del 1981-82, la quale fu più severa di quella del 1990-91 e comportò una contrazione del prodotto interno lordo del 2,71%.
vedi anche:
Leading indicators sett-08
All'apice della bolla immobiliare, il gigante dei fondi pensione della California, Calpers, prese una decisione fatale: investì aggressivamente denaro nel mercato immobiliare. Come risultato, è oggi uno dei maggiori proprietari di terreni edificabili in America. In parte a causa di questi investimenti, il Fondo Pensione del Pubblico Impiego della California (Calpers), sta lottando per evitare uno dei peggiori declini su base annua dalla sua nascita nel 1932. Calpers ha perso circa un quarto dei suoi attivi dal 1 luglio, l'inizio di quest'anno fiscale. Il problema arriva in un momento di incertezza per il più grande fondo pensione pubblico della nazione, il quale è senza due dirigenti di alto livello da circa sei mesi. Calpers è pronto a nominare un nuovo dirigente questa settimana, hanno dichiarato persone informate.
Calpers sta ora avvertendo le città, paesi e scuole della California, che potrebbero dover raccogliere più denaro per coprire i pagamenti delle pensioni che il fondo garantisce a 1,6 milioni di dipendenti statali. Alcuni paesi stanno già tagliando i servizi comunali, e qualcuno da già la colpa ai costi di Calpers. Calpers nelle ultime settimane ha previsto perdite del 103% sui suoi investimenti immobiliari nell'anno fiscale finito il 30 giugno. Questo perchè Calpers non ha solamente investito il suo capitale, ma miliardi di dollari presi in prestito e che ora devono essere rimborsati anche se l'investimento diminuisce. In alcuni contratti, l'80% del denaro investito da Calpers era preso in prestito.
L'ultima crepa: data la necessità di generare denaro contante, una controllata di Calpers in difficoltà di nome LandSource ha iniziato a vendere la terra durante il peggiore mercato immobiliare dell'ultima generazione. Calpers potrebbe potenzialmente perdere quasi 1 miliardo di dollari su LandSource, 2,5 miliardi di dollari in un contratto concluso all'inizio di quest'anno, ed una delle più quotate transazioni immobiliari degli Usa mai concluse. LandSource è ora sotto il controllo della magistratura a causa della bancarotta.
Con 239 miliardi di dollari in attivi a giugno, il portafoglio di Calpers era maggiore di quello dei fondi govenativi di Russia, Sud Corea, Dubai e Cile messi insieme. Negli ultimi anni, Calpers è diventato molto più aggressivo degli altri fondi pensione nell'effettuare investimenti non tradizionali, mercato immobiliare, azioni straniere, addirittura terre forestali.
A meno che il rendimento di Calpers recuperi entro giugno, il fondo prevede che i contributi che le amministrazioni locali versano come partecipazione al fondo potrebbero iniziare a salire a partire dal 2010, facendo così diminuire il denaro a disposizione per la spesa in servizi. Alicia Munnell del Center for Retirement Research, Boston College, dice che la recessione potrebbe coinvolgere altri fondi pensione. "Anche nello scenario migliore... i contribuenti vedranno comunque aumentare i contributi ai fondi pensione."
Calpers nota che le sue proprietà commerciali, i quali sono valutati in circa 6 miliardi di dollari, inclusa una buona parte del Time Warner Center di New York, non sono state colpite così gravemente come gli investimenti residenziali. Insieme, investimenti residenziali e commerciali rappresentano circa un decimo del portafoglio totale del fondo che si aggira intorno ai 182,6 miliardi di dollari. Il suo portafoglio immobiliare è sceso del 14,4% da settembre 2007 a settembre 2008, contro un incremento del 5,3% del benchmark di riferimento.
Calpers evidenzia anche il fatto di essere un investitore a lungo termine e può quindi recuperare le perdite in futuro, così come ha recuperato le perdite seguenti lo scoppio dela bolla dei tecnologici alcuni anni fa'. "Nessuno sul mercato sapeva quanto velocemente il mercato immobiliare sarebbe sceso, non la Federal Reserve, non il Tesoro", ha dichiarato Ted Eliopoulos, responsabile del portafoglio immobiliare di Calpers, in un intervista. Il fondo ha anche aggiunto "controlli e contrappesi" sulle decisioni riguardanti gli investimenti immobiliari, ha detto Mr. Eliopoulos. "Calpers ha sempre inteso imparare dalle recessioni", ha dichiarato.
I dettagli dei contratti immobiliari di Calpers, e l'identità di alcuni costruttori immobiliari sui quali ha investito, stanno solo iniziando a venire alla luce. Questo perchè gli investimenti sono stati spesso effettuati tramite imprese con nomi opachi come "Fondo Sentiero di Crescita Focolare Domestico", e Calpers non rilascia dettagli di molte delle imprese di sua proprietà.
Negli ultimi anni Calpers ha investito in:
Tre grandi lotti vicino Phoenix, uno dei mercati più colpiti della nazione. Il mese scorso, Calpers ha abbandonato uno dei tre progetti, dopo aver investito 140 milioni di dollari. Su uno degli altri, per iniziare ad avere un rendimento, il partner nell'investimento ha recentemente iniziato a vendere l'acqua proveniente dalla terra di proprietà. Un imponente blocco di terreni con una capienza di circa 8000 unità immobiliari vicino al piccolo paese di Mountain House, California, il mercato più "sottacqua" di tutta la nazione. (Circa il 90% dei proprietari di casa hanno un mutuo superiore al valore corrente delle proprie case, secondo FirstAmerican Corelogic.) Al 30 giugno, Calpers valutava l'investimento in negativo di 305 milioni di dollari, il che riflette il fatto che è stato ripagato del denaro preso in prestito per l'investimento. Circa 10000 acri vicino a Jacksonville, Florida. Il piano prevedeva la vendita di legno dalla proprietà, insieme ai lotti residenziali. Ma a causa del collasso del mercato immobiliare potrebbero passare cinque anni prima che si possano vendere i primi lotti.
Un solo anno particolarmente brutto per gli investimenti può avere serie conseguenze per il sistema previdenziale della California. Calpers ha recentemente stimato che se le sue perdite per l'anno fiscale corrente saranno superiori al 20%, ciò significherebbe un aumento dal 2% al 5% dei contributi nella busta paga dei lavoratori. Attualmente, i contributi pagati da un lavoratore pubblico sono il 13% della busta paga, ha dichiarato Calpers, il che è gia nella fascia alta dei fondi pensione pubblici, secondo gli analisti del settore. un aumento del 5% sarebbe il più grosso dai tempi della bolla dei tecnologici.
Le perdite nell'immobiliare non sono la ragione principale per la quale Calpers è nei guai. Il suo calo più significativo proviene dal mercato azionario: il suo portafoglio azionario è in calo del 41% in quest'anno fiscale. Ma Calpers ha indirizzato meno denaro nell'obbligazionario e circa il doppio nell'azionario e nell'immobiliare che la media dei fondi pensione, secondo i documenti di Calpers ed un'indagine del settore. Capers diventò più aggressivo nell'immobiliare dopo la bolla dei titoli tecnologici del 2000-2002. I suoi dirigenti decisero di aumentare gli investimenti nel mercato immobiliare e su quello azionario, trasferendo denaro da investimenti più sicuri, ma meno remunerativi, come le obbligazioni. Robert Carlson, un ex dirigente che ha lasciato il consiglio di amministrazione all'inizio dell'anno, dichiarò pubblicamente ai tempi: "Noi crediamo che non prendere rischi è il più grande rischio che si possa prendere".
Gli acquisti di terreni edificabili sono tra gli investimenti più rischiosi nel settore immobiliare. Non solo una proprietà può perdere di valore velocemente, ma, a differenza per esempio di un'azione, i terreni possono rimanere invenduti per mesi o anni. Amplificando il rischio, molti degli investimenti in terreni di Calpers sono stati fatti utilizzando denaro in prestito. Investire denaro preso in prestito funziona da leva: in un mercato in espansione, aumenta i rendimenti in quanto si guadagna non solo sul capitale proprio, ma su quello preso in prestito. Ma in un mercato calante, questa leva amplifica le perdite.
Per aiutarlo ad identificare gli investimenti più promettenti nel mercato immobiliare, Calpers si è rivolto ad un ristretto gruppo di soci con i quali aveva concluso dei contratti sin dal 1992, anche se su scala ridotta. "Gli investimenti inizialmente funzionarono a meraviglia", dice Barry Gross, presidente di Developers Research, una ditta di Irvine, California, che fece da consulente per alcuni dei primi e più piccoli investimenti di Calpers nei terreni. "Calpers ha pensato, 'Se possiamo farlo con 300 case, perchè non farlo per 3000'".
Michael McCook, responsabile all'epoca degli investimenti immobiliari di Calpers, propose di aumentare i rendimenti investendo più capitale preso in prestito. "Dissi che poteva aiutare durante i tempi buoni, ma che avrebbe peggiorato la situazione nei tempi cattivi", Mr. McCook ricorda di aver dichiarato in consiglio di amministrazione nel 2002. Investire denaro preso in prestito è normale nelle società di investimento edilizio. Mr. McCook dice che era convinto che Calpers sarebbe stato in svantaggio nel gareggiare per una fetta di questi contratti se non avesse migliorato i rendimenti tramite questa via.
Calpers aveva già fatto uso di denaro preso in prestito in contratti riguardanti proprietà commerciali. Tra il 2001 ed il 2002 aveva aumentato il limite permesso dal 25% al 50%. Nei contratti di investimento nelle proprietà residenziali, tradizionalmente Calpers non faceva uso di denaro preso in prestito. Ma nel 2005, venne autorizzato il ricorso ai prestiti per i contratti residenziali ad una media del 60%. Siccome la media viene applicata all'intero portafoglio immobiliare di Calpers, alcuni contratti raggiunsero l'80% di prestiti, ricorda Mr. McCook. Un livello molto più aggressivo di molti altri fondi pensione o imprenditori edili, secondo consulenti del settore e costruttori. Secondo Calpers gli altri fondi pensione hanno investito denaro preso in prestito nella stessa misura. L'incremento del ricorso al prestito corrisponde con il picco del mercato immobiliare. Nel 2004 e 2005 i prezzi delle case aumentarono anche fino al 30% in alcune aree.
Fino all'anno scorso, la strategia di Calpers funzionava. Attraverso i suoi soci il fondo concluse molti grossi e complessi contratti con imprenditori edili. La media dei rendimenti sugli investimenti immobiliari dal 2004 al 2006 è stata addirittura del 16%. In un classico contratto Calpers forniva i fondi ai suoi cosi, i quali compravano i terreni in accordo con il costruttore. La maggior parte dei fondi arrivava da Calpers, mentre il costruttore apportava tra il 10% ed il 15%, in cambio del diritto a comprare l'intera proprietà. Questo permetteva essenzialmente ai costruttori di controllare i terreni senza dover appesantire i propri bilanci. Mentre Calpers sperava di ottenere dei buoni rendimenti dalla vendita della terra ai costruttori in un mercato in crescita. I soci di Calpers lavoravano con imprenditori edili di grosse dimensioni come Hovnanian Enterprise Inc. e Beazer Homes USA, secondo due persone informate.
Quando il mercato immobiliare cambiò direzione, contratti che un tempo sembravano ottimi iniziarono a rivelare la loro parte oscura, in quanto Calpers aveva accettato termini di contratto che lo esponevano a rischi maggiori in caso di un mercato al ribasso. Per esempio, Calpers garantì per un prestito di 1,7 miliardi di dollari relativo a più contratti. Normalmente, il garante è il costruttore, il che significa essere soggetti a fallimenti. Essendo garante, Calpers usava la sua solida reputazione per ottenere minori costi sui prestiti. Ma ora, che i progetti sono in difficoltà, la garanzia significa per Calpers immettere nuovi fondi per progetti i quali sarebbe forse preferibile abbandonare. Più il mercato immobiliare cresceva, più i contratti aumentavano di valore. Il più grosso fu LandSource, l'investimento da 2,5 milioni di dollari ora in bancarotta.
Per LandSource, Calpers si unì a Lennar Corp., il gigante delle costruzioni con base a Miami. Lennar era conosciuto nel settore per il suo uso sofisticato dei contratti. Il contratto LandSource prese forma nel 2006, quando Victor MacFarlane, uno degli investitori di lunga data di Calpers, chiese a Lennar se fosse interessato a vendere una grossa parte dei suoi 15000 acri di terreno a Newhall Ranch, al nord di Los Angeles. I co-proprietari di Newhall Ranch, Lennar e LNR Property corp., un'unità di Cerberus Capital, erano intenzionati a vendere. Nello stesso periodo, l'amministratore delegato di Lennar, Stuart Miller, suggeriva che il gia debole mercato immobiliare avrebbe potuto peggiorare. In una conferenza nel settmbre 2006 egli, a proposito degli acquisti immobiliari, dichiarò: "Al momento non ci sono i presupposti di una qualche opportunità di acquistare qualcosa di strategico". Il contratto LandSource si compose quindi di 970 milioni di dollari di una società fondata da Calpers, e 1,5 miliardi di dollari in prestito. Lennar e LNR ricevettero 707 milioni di dollari in contanti ed il 16% delle partecipazioni a testa. La società di Calpers, che era diretta da Mr. MacFarlane e da Weyerhauser Realty Investor, un'unità del gigante della produzione di legname, ottenne il 68%. Mr. MacFarlane, l'uomo che propose il contratto, aveva un'ottima reputazione all'interno di Calpers. "Victor MacFarlane era molto conosciuto e rispettato dai membri del consiglio di amministrazione e dall'amministratore delegato", dice Russell Read, responsabile ai tempi degli investimenti di Calpers, che abbandonò a giugno ed ora dirige la C Change Investments, la quale investe in aziende che promuovono tecnologie per la protezione dell'ambiente. Mr. Read si prende la responsabilità per aver dato il via libera al progetto LandSource. "Abbiamo basato il nostro giudizio sulla ricerca, sul nostro giudizio personale e sulle esperienze passate di MacFarlane", dichiara. Si rivelò un brutto momento per l'acquisto di terreni. Nell'estate del 2007, solo pochi mesi dopo la conclusione di LandSource, il mercato immobiliare americano iniziò la sua storica caduta. LandSource entrò in bancarotta all'inizio di quest'anno. Mr. MacFarlane ha rifiutato ogni commento. Ma in passato da dichiarato di essere stato al corrente che il mercato era in declino ma che vedeva LandSource come un investimento a lungo termine che avrebbe dato i suoi rendimenti dopo una decina di anni o più. Un portavoce di Calpers ha recentemente dichiarato: "Stiamo monitorando LandSource nel processo per bancarotta e proteggendo i nostri interessi". Un avvocato di LandSource ha detto che l'impresa ha pianificato di vendere delle piccoli porzioni di terreno, ma di preservare il grosso di Newhall Ranch.
A seguito delle perdite, Calpers sta portando avanti dei cambiamenti riguardanti il processo decisionale. Nel febbraio 2007, poco dopo l'insediamento di Mr. Eliopoulos a capo del settore immobiliare di Calpers, il gruppo ha posto delle nuove regole richiedendo che i contratti siano esaminati tre volte, da un comitato interno, una fiduciaria indipendente ed alla fine da un consulente esterno. In precedenza, la gran parte della supervisione proveniva dallo staff o da consulenti di Calpers. Calpers sta creando un nuovo database per seguire più da vicino "contrappesi e diversificazioni" nel portafoglio immobialiare. Sta anche proponendo di ridurre l'ammontare massimo di denaro preso in prestito da poter utilizzare nei contratti immobiliari, e di ridurre le garanzie sui prestiti. Secondo George Diehr, vice presidente di Calpers, in futuro il fondo avrà meno fondi investiti nell'immobiliare, anche se questo è parzialmente dovuto al fatto che le sue proprietà sono scese di valore. "Certamente rimane la possibilità che altre proprietà vengano messe in vendita", ha dichiarato. "Stiamo facendo le analisi in questo momento".
Risky, ill-timed land deals hit Calpers
vedi anche:
L'orso morde i fondi pensione
Continuano a peggiorare i fondamentali economici della valuta americana, l'ammontare del debito internazionale americano è in ottobre salito del 6,26% rispetto al mese precedente, superando ulteriormente l'aumento record del 4,06% già verificatosi a settembre.
Il debito pubblico, soprattutto quello internazionale, è uno degli elementi economici fondamentali per quanto riguarda i rapporti di cambio, in quanto ad un suo aumento probabilmente segue un indebolimento della valuta di riferimento in maniera da renderla più appetibile sui mercati internazionali del credito.
Come si nota dal grafico, aggiornato ad ottobre, il cambio del dollaro nei confronti dell'euro non ha invece ultimamente rispettato queste aspettative ma è probabile, nel caso il debito continuasse a salire come tutto lascia prevedere, che il dollaro possa indebolirsi nuovamente.
vedi anche:
Nel dollaro non crediamo
Ancora non arrivano segnali di ripresa dall'economia americana, anche i dati sulle variazioni delle scorte nel mese di ottobre non lasciano intravedere per il momento un periodo positivo.
Seppur siano scese rispetto al mese precedente dello 0,6% le scorte rimangono infatti elevate in quanto a crollare sono soprattutto le vendite, scese del 3,5% rispetto a settembre, un record negativo dal 1992 ad oggi.
Nei grafici a fianco, i quali riportano le variazioni rispetto all'anno precedente, si può infatti notare come ad un calo verticale delle vendite deve ancora far seguito una conseguente riduzione delle scorte, almeno per quanto riguarda la produzione ed il commercio all'ingrosso.
Il presidente dell'Ecuador Rafael Correa ha annunciato il mancato pagamento degli interessi sul debito che avrebbero dovuto essere versati venerdì. L'Ecuador è così tecnicamente in default per la terza volta negli ultimi 14 anni.
Le preoccupazioni degli investitori internazionali non sono però rivolte soltanto al debito dell'Ecuador il quale è relativamente piccolo e si assesta intorno ai 3,9 miliardi di dollari contro i 100 miliardi di debito del default dell'Argentina nel 2002.
Ad incutere timore sugli investitori sono invece le dichiarazioni di Correa il quale ha giustificato il default definendo il debito "immorale ed illegale" e portando a sostegno di questa tesi uno studio effettuato dal ministero dell'economia sull'andamento del debito in 30 anni (dal 1976 al 2006).
Permangono quindi i dubbi che non si tratti semplicemente di un default come ne sono accaduti in passato per mancanza di fondi, ma, dopo la statalizzazione dei fondi pensione privati in Argentina, di un altro passo nel processo in atto in Sud America di dismissione del sistema economico-finanziario(per il momento) e monetario (in futuro) di stampo americano.
documenti:
Auditoria de la deuda interna publica del Ecuador
vedi anche:
L'Argentina nazionalizza i fondi pensione
Il Regno Unito è diventato peggiore in quanto a rischio di credito che McDonald's e un gruppo di altre grandi compagnie, rivela un grafico prodotto per The Independent.
Il collasso nel rischio di credito del Regno Unito si è verificato negli ultimi due mesi e mezzo, da quando il governo garantì il sistema bancario e decise di contrastare la recessione. Investire nel debito pubblico britannico è al momento circa due volte più rischioso che comprare obbligazioni di McDonald's, secondo il mercato dei credit default swaps, i quali garantiscono un'assicurazione agli acquirenti di questi titoli.
Il debito pubblico delle grandi economie come il Regno Unito è normalmente considerato più sicuro delle obbligazioni corporate. Malgrado ciò, il 29 settembre, il costo per acquistare l'assicurazione contro il default a cinque anni del Regno Unito è diventato più caro che l'assicurazione equivalente per la catena di hamburger statunitense ed ha successivamente superato Kellog's e Coca-Cola, secondo i dati di Bloomberg.
Il costo di assicurazione sul debito del Regno Unito è aumentato in quella data, in quanto il governo nazionalizò Bradford & Bingley, incrementando il pericolo che lo stato avrebbe dovuto salvare l'intero sistema bancario.
Il costo per assicurarsi per un anno contro il rischio di default a cinque anni di 10 milioni di sterline è salito da meno di 30000 sterline a 120000, rispetto ad un prezzo di 77000 sterline per proteggersi contro il default di McDonald's.
Il costo dell'assicuraione contro il default sui titoli del debito pubblico aumentò di nuovo a metà ottobre dopo che il governo annunciò il suo piano di salvataggio senza precedenti del sistema bancario, che ha visto la Royal Bank of Scotland già in parte nazionalizzata.
I movimenti straordinari nel mercato dei CDS rifletto anche le preoccupazioni riguardanti l'alta leva finanziaria dell'economia britannica, che sta scivolando verso una recessione che secondo il Fondo Monetario Internazionale potrebbe essere peggiore che negli Stati Uniti.
Il mercato dei CDS si è dimostrato discutibile da quando si è allargata la crisi finanziaria in quanto esso ha accresciuto i campanelli di allarme riguardanti la salute finanziaria delle compagnie, ma allo stesso tempo esso è opaco ed illiquido ed è diventato un mezzo per scommettere contro le compagnie stesse da parte degli speculatori. Gli investitori usano anche i CDS per proteggersi contro altri rischi come il prezzo delle azioni, il che significa che i prezzi possono riflettere anche altri fattori oltre al rischio di credito.
Ma gli analisti dicono che il cambio drammatico nel rischio di credito del debito del Regno Unito rappresenta comunque un forte cambiamento della fiducia degli investitori nell'economia britannica. Il costo per assicurarsi similmente contro il default della Germania è di 51000 sterline, inferiore a quello del Regno Unito, della Francia costa 61000. Il Regno Unito è ritenuto più sicuro dell'Italia che costa 191000 sterline e della Russia, i cui CDS contano 784000 sterline.
Sean Corrigan, capo-investimenti a Diapason Commodities Management in Svizzera, dice: "Per il Regno Unito avere questo rischio di credito è in qualche maniera assurdo ma il mercato sta usando questi strumenti per esprimere la sua visione riguardo la posizione finanziaria di alcuni paesi. Questo è accaduto da quando la situazione finanziaria è peggiorata ed i passi presi dalle autorità fiscali e monetarie sono diventati meno responsabili."
La Banca d'Inghilterra ha invertito la rotta da settembre, riducendo il tassi di interesse tre volte fino al 2%, il tasso più basso dal 1951, con i mercati che prevedono che i tassi possano scendere fino a toccare lo zero fintanto le autorità cercano di sostenere le economie e contrastare la deflazione. Il mese scorso il Cancelliere ha annunciato che il governo aumenterà la spesa e ridurrà le tasse a breve termine per cercare di fermare una lunga e profonda recessione.
Il mercato liquido del debito da un'immagine differente, con il Regno Unito ritenuto più sicuro che McDonald's e altre compagnie. Gli analisti dicono che questo potrebbe in teoria indurre gli investitori ad effettuare arbitraggi tra i due mercati. "Sembra folle, è folle, ma rappresenta i compratori ed i venditori e come funziona il mercato dei CDS al momento".
Britain worse credit risk than McDonald's
Il Baltic dry index è un indice quotato a Londra sul Baltic Exchange che rileva l'andamento dei prezzi di spedizione tramite nave delle materie prime sulle rotte mondiali più utilizzate.
L'indice è forse uno dei migliori indicatori in tempo reale dell'attività economica e soprattutto di quella parte di economia che ha le sue fondamenta sulla globalizzazione dei mercati.
Nei grafici a fianco si può chiaramente notare che è proprio questa fetta di economia a soffrire maggiormente, l'indice ha infatti perso il 95% dai massimi registrati nel mese di giugno ed è ora su livelli minimi storici risalenti alla metà degli anni '80.
Possono sei mesi di crisi finanziaria cancellare vent'anni di globalizzazione?
Peggiora nuovamente la situazione occupazionale negli Stati Uniti con il tasso di disoccupazione che è salito nel mese di novembre al 6,7%.
Nei grafici, i quali mostrano l'analisi dei dati a seconda delle fasce di età, si evidenzia il fatto che ormai la perdita di posti di lavoro colpisce tutta la popolazione ad eccezione dei lavoratori con età superiore ai 55 anni.
Sono questi infatti gli unici ad essere aumentati nel corso dell'ultimo anno, registrando un aumento del 3,36% rispetto al novembre scorso.
Questo fenomeno è probabilmente legato all'impoverimento delle famiglie americane, le quali reagiscono allungando la durata della vita lavorativa, soprattutto per quanto riguarda le donne le quali crescono infatti del 3,95% contro un 2,84% dei maschi.
Specularmente la fascia di età più colpita dalla disoccupazione è quella dei giovanissimi dai 16 ai 19 anni, i cui lavoratori maschi sono diminuiti dell'8,52% mentre le donne lavoratrici sono diminuite del 12,57% rispetto all'anno scorso.
vedi anche:
Durata della disoccupazione in aumento
L'occupazione non si crea dal nulla
Notavamo due mesi orsono (vedi qui) come il rating attribuito all'Italia fosse lo stesso attribuito all'Islanda fino al 17 aprile di quest'anno; da allora le agenzie di rating non hanno modificato il proprio giudizio lasciando l'Italia al livello A+ di Standard&Poor's.
Se non è cambiato il giudizio da parte delle agenzie di rating è invece, e di molto, cambiato il giudizio sul rischio di default dell'Italia da parte del mercato.
Il grafico mostra infatti l'impennata dei prezzi dei credit default swaps a 5 anni che assicurano contro il default della Repubblica Italiana, passati da circa 45 punti base di due mesi fa a circa 175 punti base.
Da notare anche il fatto che nella speciale classifica dei più trattati credit default swaps a livello mondiale, l'Italia è di gran lunga la prima, seguita dalla Spagna e dalla General Electric.
vedi anche:
Rischio default USA (pt. II)
Islanda a rischio default, e l'Italia?
Quando Benjamin Franklin fece ritorno in America nel 1762, dopo cinque anni trascorsi a Londra, fu impressionato dai prezzi delle case. "Il costo della vita è enormemente aumentato durante la mia assenza", commentò. "Gli affitti delle case ed il valore della terra... sono triplicati negli ultimi sei anni". Franklin, sembrerebbe tornare a casa nel mezzo di una bolla immobiliare. Che sarebbe alla fine scoppiata, innescando una crisi di liquidità ed una severa recessione che furono i fondamenti macroeconomici della rivoluzione americana.
Vi suona familiare?
I paralleli tra l'economia odierna e quella alla quale assistette Franklin hanno scaturito un dibattito tra gli storici: quanto fu importante il ruolo dell'economia, in rapporto agli ideali, nel fomentare la rivoluzione?
"Penso ci siano delle ragioni per dubitare che la rivoluzione sarebbe accaduta così come fece se non fossero state presenti queste condizioni dell'economia", dice Ronald W. Michener, professore di economia alla University of Virginia, staccandosi radicalmente dalla nozione popolare corrente che la rivoluzione fu principalmente un prodotto di grandi ideali riguardanti l'autogoverno.
Gordon S. Wood, professore alla Brown University e forse il più eminente storico vivente sull'argomento, controbatte: "C'era un alto livello di instabilità, ma ciò è difficilmente una spiegazione della rivoluzione. Non penso ci siano i presupposti per un'interpretazione economica della rivoluzione".
Il prof. Michener ed il suo collaboratore, Rober W. Wright, uno storico della finanza alla New York University, credono proprio in questo. Il duo ha lavorato per molti anni ad un manoscritto il quale sostiene che la rivoluzione americana fu il risultato diretto del malessere economico che seguì alla guerra franco-indiana.
Ora hanno un involontario lancio pubblicitario, la crisi finanziaria corrente, e l'editore, la Yale University Press, spera di pubblicare il libro entro la prossima primavera. "Ciò che ho scoperto è il fatto che le difficoltà monetarie che le colonie incontrarono non sono molto diverse dagli odierni problemi macroeconomici", ha dichiarato Michener. Per i coloni, come per noi, inizialmente ci fu un'espansione. Durante l'apice della guerra franco-indiana, che durò dal 1754 al 1763, il denaro fluiva nelle colonie, specialmente New York, dove la British Army aveva il suo quartier generale. Allo stesso tempo, il parlamento di New York emetteva una grande quantità di titoli di credito. Tutto quel contante sparso dappertutto provocò una messa in mostra eccessiva della ricchezza, in primo luogo da parte dei funzionari britannici, i cui standard di vita opulenti venivano imitati dai locali, specialmente a New York.
I prezzi delle case salirono durante la guerra. Ma quando il credito successivamente si restrinse, in parte anche grazie al divieto posto alle colonie di emettere carta moneta contenuto nel Currency Act del 1764, i proprietari immobiliari che non potevano pagare i propri debiti persero la loro terra. John Morton, lo sceriffo della Chester County in Pennsylvania il quale firmò la Dichiarazione di Indipendenza, confiscò 180 fattorie tra il 1766 ed il 1769.
Al cuore dell'argomentazione di Wright-Michener è che questa confluenza di circostanze economiche negative produsse la collera che poi si espresse nella ribellione contro lo Stamp Act ed altre tasse inglesi. In altre parole, il pricipale imputato fu il ciclo economico espansivo-recessivo; convinti che il loro futuro non era più nelle loro mani, i coloni poterono avocare il fantasma di John Loche, ponendo le basi per le argomentazioni di Tom Paine e della Dichiarazione.
Il professor Wood sostiene, al contrario, che mentre la risposta individuale alla causa rivoluzionaria fu parzialmente influenzata dalle circostanze economiche, le idee democratiche circolavano da tempo e vennero successivamente alla luce solo dopo specifiche azioni da parte degli inglesi, per esempio lo Stamp Act, il quale è largamente considerato l'atto che innescò la ribellione. E non erano solamente le condizione economiche ad essere mature: la popolazione coloniale stava crescendo più velocemente che la popolazione in Gran Bretagna, e Franklin intravise il giorno nel quale l'America sarebbe stata il centro dell'Impero Britannico. In aggiunta, siccome la proprietà era più facilmente acquisibile nelle colonie che in Gran Bretagna, l'America aveva un maggior numero di cittadini comuni, in rapporto ai nobili, con diritto di voto.
Certamente, gli economisti ammettono che gli ideali giocarono un ruolo nella storia, come gli storici degli ideali riconoscono l'esistenza di uno sfondo economico. Questi due professori stanno cercando di far recuperare un ruolo maggiore nella storia della rivoluzione agli eventi economici su larga scala in un momento nel quale gli storici si sono focalizzati sugli ideali. "Non stiamo cercando di rimpiazzare la visione ideologica", dichiara il professor Wright. "Stiamo affermando di avere un pezzo importante del puzzle".
Le interpretazioni nel racconto della storia oscillano come un pendolo. Nel 1913, Charles A. Beard scrisse il suo memorabile libro, "Un'interpretazione economica della Costituzione", nel quale presentava gli interessi economici dei fondatori come principale fattore del loro impegno nella rivoluzione. Circa mezzo secolo dopo, Bernard Bailyn, di Harvard, scrisse "Le origini ideologiche della rivoluzione americana", ponendosi come riferimento per coloro i quali considerano gli ideali come il vero impulso. Altri storici hanno enfatizzato gli atti eroici della gente comune, piuttosto che degli eroi storici.
Ma i problemi macroeconomici, al contrario delle mere politiche fiscali britanniche, non sono state al centro della narrativa negli anni recenti. "Entri a Barnes&Nobles e ci sono tutti questi libri enormi su Franklin, Jefferson", dice Edward Countryman, professore di storia alla Southern Methodist University e autore di "La rivoluzione americana", il quale fa risalire la ribellione a diverse trasformazioni piuttosto che ad un'unica causa. "Questi autori scontano la mancanza di qualsiasi tentativo di tenere in conto l'esperienza sociale".
Sicuramente, anche molti storici che si focalizzano sulle filosofie dei fondatori, incluso il professor Wood, sostengono che le forze economiche e sociali hanno avuto un ruolo. (Il professor Countryman dice che avere un'opinione precisa da parte del professor Wood è come cercare di afferrare "una trota coperta dall'olio d'oliva" perchè egli nei suoi libri include elementi sia di Beard che di Bailyn.)
"L'interpretazione dominante al momento è quella ideologica" dice il professor Wood. "Penso che il quadro complessivo sia abbastanza chiaro per ora. Ma ci sarà sempre una nuova generazione di storici in futuro." E nuove argomentazioni, senza dubbio.
Secondo la visione di Wright e Michener, se la politica monetaria britannica fosse stata diversa, e la recessione meno lunga, gli Stati Uniti avrebbero conquistato l'indipendenza solo gradualmente, come fu per il Canada, nel corso di più di un secolo.
E' un gioco divertente a "se fosse", ma per gli storici più inclini agli ideali le forze economiche del tempo verranno sempre dopo le parole di Jefferson e Madison.
"Stiamo vivendo una crisi molto seria proprio ora" dice il professor Wood, "ma nessuno parla di rivoluzione".
The Housing-Bubble and the American Revolution
Continua a scendere la spesa riguardante le costruzioni che in ottobre è calata dell'1,2% rispetto al mese di settembre, guidata soprattutto ancora una volta dal crollo del settore residenziale, sceso del 3,5% rispetto a settembre e del 23,6% rispetto ad ottobre del 2007.
Si mantiene invece, per il momento, stabile la spesa nel settore non residenziale il quale potrebbe però peggiorare nei prossimi mesi data la situazione economica negativa.
Dall'analisi delle quatto maggiori componenti della spesa privata non residenziale (uffici, edifici commerciali, edifici industriali e settore energetico) si nota infatti che il risultato degli ultimi mesi è influenzato in maniera decisiva da un aumento senza precedenti della terza e della quarta componente, verificatosi nel primo semestre di quest'anno; è probabile quindi che anche queste due componenti rallentino come già si è verificato per la spesa per edifici commerciali (in negativo da qualche mese) e per la spesa per uffici ormai prossima allo zero.
Per la prima volta nella storia nelle settimane dal 10 al 21 novembre lo spread tra i tassi swap a 30 anni ed i tassi sui titoli del tesoro trentennali è entrato decisamente in territorio negativo raggiungendo venerdi 21 novembre i 54 punti basi.
Questo significa che il mercato del credito ritiene, nel lungo periodo, più solvibili le istituzioni bancarie che il Tesoro Usa; considerando quanto già sia bassa al momento la fiducia nelle banche tutto ciò pone dei seri dubbi sulla sostenibilità del sistema nel suo complesso.
E' interessante notare che nonostante l'importante recupero messo a segno dai mercati la settimana scorsa, il differenziale, pur avendo recuperato leggermente, rimane comunque negativo; è invece sceso lo spread a 5 anni che è molto più strettamente legato alla volatilità dei mercati azionari.
vedi anche:
Rischio default USA
Il reddito pro-capite è aumentato in ottobre dello 0,3% mentre il reddito pro-capite disponibile è salito dello 0,4% nello stesso periodo.
Ancora una volta però il dato, seppur in crescita, non è accompagnato da elementi che contraddistinguono una possibile ripresa economica.
La crescita rispetto al mese di ottobre del 2007 delle retribuzioni è infatti solamente del 2,5%, livello precedentemente raggiunto nel 2002, e molto probabilmente, considerato l'aumento della disoccupazione, destinato a scendere ulteriormente nei prossimi mesi; mentre negativo è anche il dato sui consumi, in calo dell'1% rispetto al mese precedentemente.
Il dato forse meno atteso è la crescita del tasso di rispamio che ha raggiunto il 2,4%, dato che sicuramente si rivelerà molto importante in futuro, dall'uso che i consumatori faranno di questi risparmi dipenderà infatti molto l'andamento dell'economia.
Ancora brutte notizie per il settore immobiliare, con il crollo dei consumi la percentuale di edifici commerciali sfitti è salita al 9,3% dal 7,5% dell'anno scorso.
Scendono di conseguenza anche i prezzi degli affitti in calo dello 0,2% rispetto all'anno passato, il che rende al momento gli investimenti nel settore immobiliare commerciale decisamente non attraenti.
Dato il probabile declino ulteriore che potranno avere i consumi nei prossimi mesi, il settore potrebbe essere colpito gravemente con conseguenze negative anche sul numero di costruzioni future e quindi sul totale degli investimenti non residenziali.
Nella scorsa settimana si è verificato un ulteriore peggioramento nelle previsioni riguardanti l'inflazione che si derivano dai rendimenti dei titoli del tesoro USA indicizzati all'inflazione.
I differenziali tra i titoli indicizzati e quelli a reddito fisso (vedi qui) sono infatti ulteriormente scesi per le scadenze a 5 e 7 anni e si sono nell'ultima settimana azzerati per quanto riguarda i titoli decennali.
Le previsioni di un periodo di deflazione e di depressione dell'economia continuano quindi a crescere e si estendono ad un periodo sempre più lungo, in quanto il movimento ha coinvolto anche i titoli ventennali, per i quali rimane comunque positivo il differenziale, per il momento.
Quello che un tempo sembrava impensabile è accaduto: enormi salvataggi da parte del Tesoro e della Federal Reserve, e la distribuzione di miliardi di dollari dei contribuenti o del credito della banca centrale a file di pretendenti che crescono di giorno in giorno.
Ma cosa succederà nel caso le richieste iniziassero a creare tensioni sul credito del creditore più solvibile al mondo, il governo degli USA stesso? Impensabile?
Solo nella scorsa settimana, il finanziamento ad AIG è stato aumentato dagli originali 85 miliardi di dollari a 150; Freddie Mac ha chiesto altri 13,8 miliardi di dollari dopo averne ricevuti già 100 attraverso un'infusione di capitale insieme a Fannie Mae, la quale sembra necessiti a sua volta di altra liquidità; American Express si è convertita in una holding bancaria al fine di poter usufruire degli aiuti del piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari (TARP); 139 miliardi di dollari di debito dell'unità finanziaria della General Electric hanno beneficiato di una garanzia diretta della FDIC.
E, certamente, Detroit è alla ricerca di una linea di credito da parte di Washington in quanto la General Motors potrebbe finire la liquidità in assenza di un salvataggio.
Inoltre, dopo aver attinto a gran parte dei primi 250 miliardi di dollari della TARP in poche settimane, il segretario del Tesoro Hank Paulson ha dichiarata la scorsa settimana che gli aiuti non verranno usati per il loro fine originario, acquistare titoli illiquidi legati ai mutui, ma piuttosto per sostenere direttamente il credito al consumo ed in genere.
Il Tesoro prenderà in prestito 550 miliardi di dollari nel trimestre corrente, e 368 miliardi nel primo trimestre del 2009. Alla fine potrebbe darsi alla fuga con lo Zio Sam. Questo è ciò che la curva dei tassi potrebbe suggerire. La curva dei tassi è il grafico dei rendimenti delle obbligazioni del Tesoro a scadenze crescenti, a partire da un mese fino ai trenta anni. Se gli investitori prevedono che i tassi aumentino, vorranno un premio maggiore per investire in scadenze a lungo termine, o rimarranno corti in attesa di un rendimento maggiore in futuro.
La curva dei tassi, dai due ai dieci anni, che è quella che viene presa in considerazione dal mercato del credito, è raramente stata più inclinata verso l'alto. La differenza è di 250 punti base (2,5%), un livello raggiunto negli ultimi 25 anni solo nel 2002 e nel 1992, in concomitanza delle recessioni.
Una curva dei tassi così inclinata normalmente riflette una previsione da parte degli investitori di una ripresa economica. Non è importante che la curva si sia inclinata mentre l'economia peggiorava e le prospettive di una ripresa diminuivano.
Insieme a molte altre cose, qualcos'altro è accaduto quest'anno. L'inclinazione della curava dei tassi è stata accompagnata dall'aumento dei costi di assicurazione contro il default del Tesoro.
Potrebbe impressionare, ma sì, esistono dei credit default swaps sul governo americano, e sono diventati più cari, contemporaneamente all'aumento dello spread tra i rendimenti a dieci e due anni.
La relazione è stata messa in luce da Tim Backshall, capo analista di Credit Derivatives Researh. L'interesse degli investitori per i titoli del Tesoro a breve termine si "contrappone all'offerta eccessiva e alle aspettative di inflazione sul lungo termine", ha scritto.
Scott Minerd, capo ufficio investimenti a reddito fisso di Guggenheim Partners, prevede che il debito totale del Tesoro per l'anno fiscale 2009 raggiunga tra 1,5 e 2 trillioni di dollari. Egli dubita che i risparmi privati negli Usa e gli acquisti di titoli del Tesoro da parte dei paesi stranieri sia sufficiente a soddisfare il bisogno di liquidità del governo. Toccherebbe quindi alla Fed intervenire.
I grafici della curva dei tassi e dello spread sui credit default swaps sul debito del Tesoro Usa mostrano una situazione drammatica. Sia il differenziale dei rendimenti sia il costo di assicurazione sono cresciuti rapidamente, contemporaneamente, da settembre. Il mese in cui si è verificato il primo salvataggio di Fannie Mae, Freddie Mac e AIG ed il fallimento di Lemhan Brothers. Le due linee hanno continuato la loro ascesa parallela durante l'approvazione della TARP il mese scorso, mentre si rendeva evidente un rallentamento della crescita economica globale.
La curva dei tassi ed i prezzi dei credit default swaps indicano entrambi che i mercati stanno esigendo un maggior costo allo Zio Sam per ottenere denaro a lungo termine, e non è in conseguenza a delle previsioni di ripresa economica, il che ridurrebbe, non aumenterebbe, il costo di assicurazione contro il default del Tesoro.
Tutto ciò indica il fatto che la linea di credito USA ha i suoi limiti.
Can Uncle Sam Keep Paying the Piper?
Sempre più spesso l'attenzione degli operatori economici e finanziari viene rivolta verso il VIX, l'indice che misura la volatilità del mercato azionario americano.
Una descrizione interessante, seppur breve, dei meccanismi di calcolo e delle particolarità di questo indice è oggetto di uno studio appena pubblicato dal titolo: "Understanding VIX".
Viene soprattutto messa in evidenza la relazione tra l'andamento dell'indice VIX e l'andamento dell'indice di borsa S&P 500, sottolineando il fatto che nonostante il fatto che ad oggi il VIX si trovi su livelli abnormali ripetto al suo intervallo medio, normalmente tra 10 e 40 circa, già altre volte in passato esso ha superato questo intervallo superando addirittura i 100 durante la crisi del 1987.
la ricerca può essere scaricata a questo link: Understanding VIX
Peggiorano ancora le vendite al dettaglio che nel mese di ottobre scendono del 2,8% rispetto al mese precedente e del 4,1% rispetto all'anno precedente.
Il calo è dovuto in larga parte alla discesa del prezzo della benzina che ha comportato una riduzione del 12,7% rispetto al mese precedente degli introiti riguardanti questo settore; prezzo che è sceso ulteriormente in questo mese e che, come si nota dal grafico, potrebbe portare ad un ulteriore riduzione delle vendite del 20% nei prossimi mesi.
Tenendo presente che il settore incide all'incirca per il 10% sul totale delle vendite questo porterebbe ad una riduzione delle vendite al dettaglio di un ulteriore 2%, che difficilmente potrà essere riassorbita dagli altri settori.
Nel novembre 2002, appena eletto come governatore del Federal Reserve System, Ben Bernanke tenne un discorso al National Economists Club dal titolo "Deflazione: assicurandoci che non accada qui". "Fortunatamente", concluse, "per il futuro prevedibile, le probabilità di una seria deflazione negli Stati Uniti appare alquanto remota". Il discorso di Bernanke è stato spesso citato da coloro i quali pensano che una protratta deflazione in stile Giappone non possa semplicemente capitare negli USA. Quanto valgono le argomentazioni di Bernanke del 2002 alla luce degli eventi recenti? Bernanke enunciò due tipi di argomentazioni nel suo discorso. Primo, egli enfatizzò alcune differenze tra gli Stati Uniti ed il Giappone. Secondo, fece una lista di numerosi strumenti, da quelli convenzionali a quelli più aggressivi, che la Fed avrebbe potuto usare per fermare la deflazione prima che iniziasse, oppure contrastarla nel malaugurato caso si verificasse. Vediamo alcuni di questi punti.
Perchè gli Stati Uniti sono diversi
Bernanke inizia il discorso con l'osservazione che "Nel corso degli anni, l'economia statunitense ha mostrato una abilità particolare nell'assorbire shock di ogni genere e nel continuare a crescere... Un fattore protettivo particolarmente importante nello scenario odierno è la forza del nostro sistema finanziario: nonostante gli shock negativi degli anni passati (2001-2001), il nostro sistema bancario rimane in salute e ben regolato, ed i bilanci delle imprese e delle famiglie sono nella maggioranza dei casi in ordine". Questo era allora, questo è ora. Bernanke, sicuramente, aveva ragione nel dare importanza allo stato di salute dei bilanci nel settore finanziario, commerciale e delle famiglie. Egli cita Irving Fisher, che mostrò, già nel 1933, "le potenziali connessioni tra crisi finanziarie violente, che portano a "svendite" di attivi e diminuzioni dei prezzi degli attivi stessi, con un generale crollo della domanda aggregata e del livello dei prezzi". Affinchè la politica monetaria svolga il suo lavoro, ci deve essere un meccanismo di trasmissione collaudato tra gli obiettivi operativi che la Fed può direttamente controllare, principalmente i tassi di interesse a breve termine e le riserve bancarie, e l'offerta di moneta, di credito, fino alla domanda aggregata. Quando il valore degli attivi è in declino ed i bilanci hanno una leva finanziaria troppo elevata, il meccaniscmo di trasmissioni si rompe. La Fed immette liquidità al sistema bancario, ma le banche rimangono riluttanti a prestare in quanto non c'è una adeguata quantità di collaterali per garantire il livello di credito necessario. Anche quando le banche sarebbero intenzionate a prestare, le imprese e le famiglie sono restie nel contrarre debiti in quanto non hanno una certezza relativa ai flussi di cassa dalle vendite e dai salari. Siccome tutti cumulano liquidità, le azioni della banca centrale risultano di scarso effetto. I dati del Giappone alla fine del 1990 mostrano chiaramente tutto ciò. La base monetaria, composta dalle riserve bancarie e dalla valuta, aumenta. Facendo questo, il moltiplicatore monetario diminuisce, perciò la quantità di moneta aumenta solo leggermente. E, siccome il settore non bancario accumula liquidità, la velocità diminuisce, cosicchè diminuisce anche il prodotto interno lordo nominale.
L'arsenale anti-deflazione
Nonostante questo, sostiene Bernanke, la fed ha quasi una forza illimitata e se la usa l'economia reale deve reagire prima o poi. Egli elenca una seria di politiche che iniziano dalle operazioni convenzionali di mercato aperto sulle obbligazioni del tesoro a breve termine, ad acquisti di obbligazioni del tesoro a lungo termine, passando poi ad operazioni indirette su obbligazioni private attraverso swaps o in cooperazione con il Tesoro. Culminando con lo "spargimento dall'elicottero" di denaro che viene eseguito attraverso una politica fiscale espansionistica, sostenuta da acquisti di obbligazioni governative da parte della banca centrale per impedire al debito crescente di spingere in alto i tassi. La lista delle armi potenziali deve avere impressionato i presenti al discorso nel 2002. Oggi, la cosa sorprendente e quanto avanti lungo quella lista si sia già spinta la Fed. Sotto la guida di Bernanke, la Fed ha iniziato a diminuire aggressivamente i tassi di interesse nella metà del 2007, poche settimane dopo che l'indice dei prezzi immobiliari nazionale oltrepassò la linea tra aumenti e diminuzioni. Fedele allo spirito del discorso del 2002, appena il tasso di riferimento scese, il divario tra esso e il tasso di sconto, al quale le banche prendono in prestito dalla Fed, diminuì da 50 punti base a 25 punti base. Con la diminuzione delle restrizioni amministrative sul prestito, la Fed quasi supplicava alle banche di prestare le riserve. Ma non era ancora abbastanza. La Fed si mosse rapidamente oltre nella lista, allentando i termini sulle proprie operazioni di prestatore di ultima istanza, aumentando la gamma e diminuendo la qualità dei collaterali accettati, oltrepassando le banche commerciali nel profondo del settore finanziario. E' stato difficile tenersi aggiornati sulle nuove terminologie, Term Auction Facility, prestiti a imprese non bancarie della Sezione 13(3), Primary Dealer Credit Facility, Term Securities Lending Facility (TSLF), fino alle aste di opzioni sui prestiti TSLF. La Fed non può certo essere accusata di essere rimasta a braccia conserte, ma non era ancora sufficiente. Divenne quindi più difficile muoversi oltre nella lista del 2002. C'erano ancora un paio di armi potenti ancora da usare, ma nessuno era disposto a premere il grilletto. Una delle armi sarebbero state le operazioni sul mercato delle valute. Bernanke fece notare il notevole impatto della decisione di Roosevelt nel 1933 di portare il paese fuori dal gold standard, il che sconfisse la deflazione nel giro di mesi. Ma già nel 2002 Bernanke aveva ammesso che questa era un area che la Fed avrebbe dovuto trattare con molta cautela. Non era solamente questione che la politica monetaria internazionale, negli Stati Uniti, riguarda il Tesoro. Più importante era il rischio di conseguenza inattese. Se era giusto essere cauti nel 2002 nell'indebolire il dollaro per stimolare la domanda domestica, è doppiamente giusto essere cauti oggi, quando il dollaro è già debole in relazione all'euro, e quando anche un'intenzione di intervento della Fed potrebbe far scattare una corsa a disinvestire i propri attivi in dollari da parte delle banche centrali straniere. Perciò quest'arma rimane inutilizzata. Comunque, c'era ancora l'arma della politica fiscale. "Un taglio delle tasse di ampia portata", dichiarò Bernanke nel suo discorso del 2002, "accompagnato da un programma di acquisti sul mercato aperto per alleggerire la tendenza ad aumentare dei tassi di interesse, potrebbe certamente essere da stimolo ai consumi e quindi ai prezzi". Bernanke vide la possibilità dell'arma fiscale come una delle differenze chiave tra il Giappone e gli Stati Uniti. "L'economia giapponese incontra alcuni
limiti significativi alla crescita in presenza di deflazione" egli scrisse, "inclusi grossi problemi finanziari nel settore bancario e delle imprese ed l'imponenza del debito pubblico. E' plausibile che i problemi del settore finanziario privato abbiano cambiato gli effetti delle politiche monetarie tentate in Giappone, anche se l'imponenza del debito pubblico ha reso i dirigenti giapponesi più restii nell'uso di politiche fiscali aggressive". Sfortunatamente, anche se le finanze pubbliche degli Stati Uniti erano in una situazione migliore del Giappone nel 2002, il paragone non è più a favore degli Stati Uniti. Il primo grafico mostra l'andamento del surplus o deficit pubblico americano e quello del Giappone. I dati relativi agli USA sono riportati indietro di dieci anni, cosicchè i dati relativi al 2008 si sovrappongono a quelli del Giappone nel 1998. La similitudine tra i due andamenti è sorprendente. La stessa cosa vale per il secondo grafico, il quale mostra l'andamento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo.
L'arma segreta
Più uno analizza la situazione, più diventa chiaro che le protezioni che rendevano la deflazione un pericolo remoto nel 2002 sono state da quel momento erose. E' vero che i sondaggi sulle aspettative di inflazione per gli Stati Uniti sono al momento ancora positivi, ma in Giappone essi rimasero in positivo fino alla fine del 1999, quando la deflazione era già da molto iniziata. La deflazione sembra avere una predisposizione ad insinuarsi senza essere notata dalle sue vittime. Forse l'HR 1424, il piano di emergenza per la stabilità economica del 2008, ci salverà. Anche se Bernanke, nel 2002, non vide il bisogno di una operazione così imponente, il piano di salvataggio (TARP) da 700 miliardi di dollari è nello spirito del suo discorso, nel quale egli raccomandava un intervento rapido e deciso prima che la deflazione avesse inizio. Lo stesso vale per il recente intervento della Fed relativo alle commercial papers. Oltre al TARP, c'è un arma segreta nascosta nella sezione 128 dell'HR 1424 che potrebbe risultare molto utile. Trascurata da tutti tranne gli specialisti, e senza mai menzionare la Federal Reserve o le banche o i tassi di interesse, la sezione 128 concede alla Fed l'autorità immediata per poter pagare gli interessi sulle riserve depositate dalle banche commerciali. In effetti, un tasso di interesse a piacere. Uno studio recente di Todd Keister, Antoine Martin e James McAndrews della Fed di New York rivela il perchè questo interesse e potenzialmente importante. Se la Fed è autorizzata a pagare gli interessi sulle riserve, può immettere quantità illimitate di riserve nel sistema bancario senza dover abbassare i tassi di interesse fino a raggiungere lo zero. Questa politica è chiamata "quantitative easing". Come sperimentato in Giappone, ha dei risultati variabili, ma rimane comunque un'arma in più contro la deflazione. La Fed non ha sprecato tempo facendo uso di questa sua nuova autorità ed annunciando che avrebbe iniziato a pagare gli interessi sulle riserve immediatamente. Quando il tutto sarà attuato, dubito che l'economia americana andrà incontro ad una prolungata deflazione. Ma la possibilità non è più così remota come era in passato. Esiste per lo meno il dato confortante che abbiamo un governatore della Federal Reserve che conosce i rischi, le armi disponibili, ha già provato la sua prontezza nell'uso di molti degli strumenti elencati nel discorso del 2002, ed è inoltre preparato ad adoperarne di nuovi in caso di necessità.
Deflation: are we still sure "it" cannot happen here?
Ancora in negativo i dati sull'occupazione che hanno visto il tasso di disoccupazione salire al 6,5%, livello che non si raggiungeva dal lontano marzo 1994 e che verrà probabilmente superato nei prossimi mesi.
La situazione risulta ancora più grave se si analizzano i dati riguardanti la durata della disoccupazione.
Come mostrano i grafici il numero dei disoccupati viene suddiviso in base alla durata di disoccupazione in quattro componenti, nelle tre componenti a maggior durata il dato odierno è addirittura sui livelli della recessione dei primi anni '80.
Considerando il fatto che anche la componente relativa alle prime cinque settimane di disoccupazione è in continua crescita difficilmente ci saranno dei miglioramenti a breve.
Il grafico a fianco evidenzia il rapporto tra il debito pubblico ed il prodotto interno lordo americano, un rapporto che sta crescendo a ritmi record ed ha toccato ultimamente livelli mai raggiunti in precedenza.
Le aspettative sono al momento per un ulteriore aumento dovuto al rallentamento dei consumi privati, il quale costringe al ricorso alla spesa pubblica e/o sgravi fiscali e quindi ad un aggravio per quanto riguarda il debito pubblico.
D'altra parte il pericolo di una depressione prolungata e di una deflazione dei prezzi potrebbe diminuire contemporaneamente il prodotto interno lordo, innescando un processo che rischierebbe di portare il rapporto fuori controllo.
Dopo circa tre mesi di crescita costante la settimana scorsa il rendimento delle obbligazioni del tesoro indicizzate all'inflazione a cinque e sette anni hanno bruscamente superato quello delle obbligazioni del tesoro a tasso fisso.
Come si nota dal grafico la differenza tra i due tipi di obbligazioni è da sempre stata a favore dei titoli a tasso fisso in quanto quelli indicizzati scontavano un tasso di inflazione implicita positivo.
A partire da circa una decina di giorni si è quindi verificato un cambiamento quasi epocale riguardante una variabile, l'inflazione, tra le più importanti dell'intero sistema economico e finanziario.
Le nuove arrivate "aspettative di deflazione" si estendono ai titoli a cinque e sette anni, mentre rimane per il momento ancora in positivo la differenza nei titoli a dieci anni; ciò fa supporre che gli operatori prevedano al momento che la crisi non si risolverà nel breve periodo ma possa invece perdurare per molti anni.
E' cresciuto nel mese di settembre dello 0.2% il reddito pro-capite disponibile mentre continua la discesa dei consumi, in calo dello 0.3%.
Il dato è molto significativo in quanto, dopo mesi, non è inflenzato dallo stimolo fiscale approvato in primavera e ci permette quindi di trarre alcune conclusioni sull'intervento fiscale del governo.
Come avevamo ipotizzato mesi fa (vedi qui e qui) il provvedimento non è riuscito affatto nell'intento di stimolare i consumi che come mostra il grafico sono invece scesi negli ultimi mesi, mentre ha avuto come unico risultato quello di aumentare il risparmio.
Tutto ciò non era difficile da prevedere: in una situazione di indebitamento molto alto delle famiglie americane e di scarsa fiducia in una ripresa economica è naturale che i benefici fiscali siano stati utilizzati per diminuire l'indebitamento anzichè per aumentare ulteriormente i consumi.
Data la situazione ancor peggiore della fiducia dei consumatori odierna rimangono molti dubbi sulle proposte in america e non, riguardanti ulteriori interventi per il rilancio dei consumi attraverso la leva fiscale.
Il dato anticipato riguardante il GDP americano, seppur migliore delle attese, ha fatto segnare una riduzione su base annua dello 0,3%, segnalando così la possibile entrata in recessione dell'economia.
A pesare sul dato è il crollo della spesa dei consumatori il cui contributo è stato negativo del 2,25% e che è stato soltanto parzialmente bilanciato dagli apporti della spesa governativa, in costante aumento nell'ultimo anno, e delle esportazioni nette.
Nel secondo grafico si può notare l'andamento di alcune delle componenti più indicative del GDP, la cui analisi sembra mostrare che non è ancora stato raggiunto il punto più basso della crisi; se una base si può intravedere per quanto riguarda gli investimenti residenziali, è invece in costante calo la spesa per beni durevoli senza la quale è difficile immaginare un miglioramento della situazione economica.
Il perdurare delle crisi del mercato immobiliare e finanziario hanno aumentato l'allarme per un'imminente recessione, la quale normalmente comporta due trimestri di crescita del PIL negativa. Tutte le recessioni a partire dai primi anni '50, eccetto quella del 2001, hanno comportato una contrazione della spesa per i consumi (PCE). Siccome circa il 70% del PIL deriva dalla spesa per consumo di beni e servizi, una contrazione di essa pesa gravemente sulla crescita economica.
Il Bureau of Economic Analysis misura il PIL e, due mesi dopo la fine di ogni trimestre, comunica la sua stima per quel trimestre. Oltre a comunicare i dati del PIL totale, vengono rilevati anche i dati su ogni componente del PIL: PCE, investimenti, spesa pubblica, ed esportazioni nette. Al contrario delle altre componenti, le stime sul PCE sono inoltre comunicate mensilmente come parte del report sul reddito pro-capite (Personal Income and Outlays). La spesa del trimestre è la media mensile dei mesi del trimestre, e sia i dati mensili che quelli trimestrali vengono successivamente rivisti molte volte.
Questi dati mensili sono finiti sotto i riflettori recentemente: è stato rilevato che il dato del secondo mese di un determinato trimestre è molto vicino al dato del trimestre intero. Per esempio, il PCE del febbraio 2008 (comunicato il 28 marzo) era di 8365,5 milioni di dollari; il dato anticipato del primo trimestre 2008 (rilasciato il 1 maggio) era di 8369,1 milioni di dollari. La ragione per usare il secondo mese come stima della media del trimestre è semplice: è disponibile in anticipo, un mese prima del dato trimestrale. E' anche molto affidabile: in media, l'economia tende a crescere; se il tasso di crescita della spesa di mese in mese in un trimestre è costante, il PCE del secondo mese è molto vicino alla media del trimestre.Il grafico mostra la previsione (secondo mese) ed il dato definitivo di crescita del PCE a partire dal 1991 usando dati in tempo reale: ovvero, i tassi di crescita in ogni punto del grafico si riferiscono a dati che sarebbero stati disponibili ad un ricercatore al momento della previsione. La stima per il terzo trimestre del 2008 è -2,3%, il primo calo del PCE dal quarto trimestre del 1991. In media, il dato del secondo mese del PCE è molto vicino al dato trimestrale; in effetti sottostima il dato trimestrale in media dello 0,15% sul campione. La correlazione tra le due serie di dati del grafico è dello 0,90.
Molte delle differenze tra i due dati scompaiono quando gli stessi vengono rivisti. Infatti il tasso di crescita trimestrale definitivo del PCE e la stima usando il dato del secondo mese quasi coincidono, differenziandosi solamente dello 0,03% quando entrambi i tassi di crescita sono calcolati usando i dati correnti. In sostanza, il semplice calcolo può offrire una stima molto accurata del tasso di crescita trimestrale dei consumi un mese prima che il dato ufficiale sia comunicato. In aggiunta, l'uso di dati in tempo reale (non rivisti) è essenziale per la valutazione dell'attendibilità di questo come ogni altro calcolo.
Predicting consumption: a lesson in real time data
La Presidente dell'Argentina Cristina Kirchner ha annunciato la statalizzazione dei fondi pensione privati, esistenti in Argentina dal 1994, a partire dal gennaio prossimo.
Già qualche giorno fa, un documento del Ministero del Lavoro giudicava il sistema privato "concettualmente inadeguato", sottolineando che lo Stato deve intervenire in molti casi per garantire ai pensionati un vitalizio non inferiore al minimo garantito.
Il documento oltre a denunciare le alte commissioni percepite dai fondi privati metteva in evidenza una delle questioni più controverse riguardante i fondi. Essi infatti detengono circa il 60% del loro portafoglio investito in titoli di Stato sui quali lo Stato stesso paga un interesse, il quale però entra a far parte del capitale (e quindi viene successivamente redistruibuito ai pensionati) solamente al netto delle commissioni del fondo. Non si capisce quindi come mai lo Stato non possa versare direttamente questi interessi in un fondo pubblico e da esso ai pensionati, eliminando di conseguenza le alte commissioni private.
Ancora nel documento si poteva leggere che la crisi attuale ha solamente portato brutalmente alla luce questa ed altre questioni riguardanti i fondi privati e che avrebbero portato lo Stato ad intervenire riscattando il sistema previdenziale.
Annunciando la decisione la Presidente ha definito la politica previdenziale degli anni '90 un saccheggio nei confronti della popolazione ed ha assicurato ai pensionati che non vedranno la loro pensione ridimensionata a causa della crisi finanziaria mondiale.
documenti:
La re-estatización del sistema previsional en la Argentina. Elementos para el análisis.
Sistema integrado previsional argentino.
Dopo cinque mesi di calo torna a crescere il leading index, uno degli indici economici più significativo in quanto si propone di anticipare le tendenze economiche dei prossimi mesi.
L'indice è cresciuto dello 0,3% a settembre rispetto al mese precedente portandosi a quota 100,60.
Anche se il dato è sicuramente positivo rimangono i dubbi dovuti al fatto che nonostante questo recupero l'indice rimane comunque sui livelli minimi degli ultimi anni e comunque lontano dal dato di luglio quando era a quota 101,20.
Ulteriori dubbi sull'effettiva forza del dato derivano dall'analisi dei componenti che hanno fatto registrare il lieve recupero; come si nota dal primo grafico l'elemento che più ha pesato in positivo nell'ultimo mese è infatti l'aumento della massa monetaria, una variabile relativa alla politica monetaria e non quindi legata direttamente alla produzione o al consumo.
Lo stesso si può affermare per l'altro elemento che ha sostenuto l'indice nel suo complesso negli ultimi sei mesi, ovvero la differenza tra il tasso decennale ed i fed funds, anche questa una variabile di politica monetaria.
noitalfed:1102