Crollano a dicembre le vendite di nuove case negli USA, attestandosi al livello più basso dal lontano 1963, anno da sui sono disponibili le statistiche, con un calo del 14,7% rispetto a novembre.

Il mercato immobiliare è al momento dominato dalla vendita di case già esistenti, tra le quali le molte case pignorate le quali incidono fortemente sul calo dei prezzi, rendendo poco concorrenziali le costruzioni di nuove case.

Di conseguenza, come si nota nel primo grafico, crollano le vendite di nuove case (linea blu) ed allo stesso tempo diminuiscono le case in vendita (linea rossa), le quali sembrano però ancora a livelli troppo alti per una possibile ripresa delle vendite.

Ciò si può osservare anche dal secondo grafico, il rapporto tra scorte e vendite (linea blu) si attesta infatti sui 12,9 mesi, il che significa che ai ritmi correnti sarebbe necessario più di un anno per vendere le case attualmente in vendita.

Sempre nel secondo grafico è riportato il dato riguardante la durata media in mesi necessaria per la vendita delle nuove case, dato in continuo aumento il quale concorre pesantemente alle pressioni sui prezzi.

vedi anche:
Investimenti immobiliari ancora in calo
Una tesi contro il sostegno ai prezzi delle case
Conseguenze dei pignoramenti: case in vendita a 1 dollaro

In un giudizio a posteriori, il recente quadro di crescita macroeconomico e finanziario ha come fondamenta sbilanciamenti, politiche monetarie e fiscali espansionistiche, una eccessiva "deregulation" e un uso incauto del credito e della leva finanziaria. La crisi finanziaria odierna, che ha avuto inizio con i mutui subprime negli Usa nel 2007, segna l'inizio di un rovesciamento disordinato di questi squilibri globali. Mentre il senno di poi rivela un insieme di altre cause della crisi, un uso eccessivo della finanza fuori bilancio, un credito ed una gestione del rischio troppo accomodante e politiche di compensazione errate, la più seria e prolungata sfida ai modelli di crescita esistenti nel sistema finanziario è rappresentata dal rovesciamento di questi squilibri globali, il quale ha rallentato la crescita globale e dato un rinnovato e maggiore ruolo ai governi ed ai politici.

La crisi finanziaria segna l'inizio di un nuovo capitolo per il sistema finanziario globale, caratterizzato da tre importanti cambiamenti: deleveraging e rallentamento dell'economia globale, crescita degli interventi dei governi, minaccia al cammino verso la globalizzazione.

Nel breve periodo (2009-2012), il sistema finanziario continuerà il processo di deleveraging, mentre le istituzioni finanziarie adattano le loro strategie alle restrizioni derivanti da un intervento crescente dei governi e previsioni di crescita in calo. Nel lungo periodo (2009-2020), il grado di leverage finanziario, il ruolo del governo e la minaccia alla globalizzazione sono meno probabili, ma saranno ugualmente importanti per le istituzioni finanziarie nello sviluppare strategie economiche efficaci.

Deleveraging e rallentamento economico globale

Nel breve periodo il processo di deleveraging dei bilanci delle banche e delle famiglie avrà un notevole impatto sul settore finanziario, e di conseguenza sull'economia globale. Le azioni correttive delle banche e degli investitori hanno già ottenuto effetti cospicui, come testimoniano il declino globale dei prezzi di obbligazioni ed azioni. Il crescente costo del credito e le previsioni economiche negative hanno costretto molti investitori a ridurre drasticamente il loro uso della leva finanziaria portando a grosse vendite globali di quasi ogni classe di titoli. Questi cali dei mercati hanno diminuito le aspettative delle famiglie sulla creazione di ricchezza e di conseguenza abbassato il livello di debito ed aumentato il tasso di risparmio.

Il ritracciamento del debito al consumo, in particolare per le famiglie statunitensi, avrà un effetto persistente. Nonostante i vari stimoli fiscali adottati dalle maggiori economie, il consumo nei paesi industrializzati cederà il passo ad un aumento del risparmio.

Anche se ci sono ancora delle divergenze nelle previsioni economiche, molti pensano che questo calo dei consumi a livello globale porterà ad un rallentamento dell'economia duraturo. Il Fondo Monerario Internazionale prevede una crescita mondiale del 2,2% nel 2009, contro il 5% del 2007 ed una stima del 3,7% nel 2008. Questo rallentamento sarà guidato dal continuo calo dei prezzi immobiliari, un aumento dei fallimenti ed un calo dei consumi accompagnato da tassi di risparmio più alti.

La crisi globale avrà effetti importanti sul panorama dei servizi finanziari. Nel breve termine, il rallentamento dell'industia finanziaria e dell'economia reale verrà amplificato a vicenda. Con livelli calanti del consumo globale, la crescita economica sarà limitata, rendendo meno attraente il credito da parte delle istituzioni finanziarie e diminuendo le opportunità di investimento. L'innalzamento dei requisiti per il credito e la diminuzione della propensione al rischio renderà più difficile il finanziamento da parte delle imprese, portando ad ulteriori perdite e fallimenti. Questo diminuirà nuovamente il valore degli attivi esistenti delle banche, inducendo nuovi aggiustamenti di bilancio e restrizioni al credito.

E' improbabile che il ritracciamento dei livelli di debito si concluderà nel breve termine. I livelli di leverage del sistema si sono accumulati in un periodo di venti e più anni e difficilmente scompariranno. Mentre la "grande retromarcia" si diffonderà in tutto il sistema, i suoi effetti cambieranno fondamentalmente il sistema macroeconomico globale. Primo, i governi prevederanno un rinnovato ruolo nella sorveglianza dei mercati finanziari. Secondo, diversi paesi saranno coinvolti e riponderanno in maniere differenti, portando a potenziali aumenti o diminuzioni nel processo di spostamento della forza esistente dalle nazioni industrializzate a quelle emergenti. Terzo ed ultimo, la riduzione della ricchezza ed una più bassa leva finanziaria cambieranno le strategie delle istituzioni finanziarie. Coloro i quali non si adatteranno verranno emarginati dai nuovi arrivati, liberi da pratiche del passato.

Crescita degli interventi dei governi

Una volta che gli effetti della crisi finanziaria sono diventati evidenti nella metà del 2008, molti ministri delle finanze, governi e banche centrali sono intervenuti energicamente. Queste azioni hanno rappresentato un nuovo contratto implicito tra i paesi ed i loro rispettivi settori finanziari, nei quali i governi assumeranno i rischi del loro sistema bancario in cambio di un aumento della regolamentazione e della supervisione del settore. Quest'ultimo aspetto del contratto richiederà tempo per essere progettato ed implementato.

Per ora gli interventi sono stati estesi e relativamente consistenti nelle principali economie. Queste misure hanno incluso acquisizioni di banche, intere nazionalizzazioni quando non si sono potuti trovare acquirenti, linee di credito di emergenza, iniezioni di liquidità atte a sostenere il mercato del credito, garanzie statali sui prestiti interbancari, e l'introduzione o l'espansione degli schemi di assicurazione sui depositi.

La scala degli interventi ha messo a dura prova le finanze, e la creatività, delle principali banche centrali, come dimostra il cambiamento registrato dal bilancio della Federal Reserve. Con questi sforzi nel ricapitalizzare il sistema bancario nazionale ed immettere liquidità nel sistema, le banche centrali hanno istituito un insieme di nuovi programmi di prestito che hanno effettivamente trasferito gran parte del leverage e del rischio finanziario ai bilanci nazionali.

Interventi di dimensioni massicce hanno reso necessario per le banche centrali la richiesta di pacchetti finanziari speciali da parte dei governi. Come risultato le politiche fiscali nazionali saranno messe sotto pressione, aumentando il rischio di bancarotta da parte degli stati e di potenziali interventi da parte del Fondo Monetario Internazionale. Nelle economie emergenti che si basano prevalentemente sui mercati finanziari esteri, i rischi sono ancora maggiori, e comprendono rinnovate pressioni inflazionistiche, svalutazioni monetarie, il deterioramento degli investimenti stranieri ed una previsione di crescita negativa.

Questa crescita dell'accollamento del richio da parte degli stati ha cambiato drammaticamente il ruolo del governo all'interno del settore finanziario. Mentre le attività del governo e delle sue agenzie erano precedentemente focalizzate sulla supervisione, sono ora diventati partecipanti attivi nei mercati che loro stessi regolano. L'intervento del governo sarà avvertito soprattutto dalle banche semi-nazionalizzate, che dovranno combinare obiettivi in competizione tra loro da parte dei governi e degli azionisti privati. In un periodo nel quale gli azionisti privati assumeranno un ruolo più attivo per riportare competitività a queste aziende, gli azionisti governativi potrebbero introdurre nuovi obiettivi non necessariamente compatibili con quelli degli investitori privati. Prendiamo ad esempio, UK Financial Investments Limited (UKFI), il veicolo del governo per le proprietà delle banche. Il suo obiettivo sarà quello di proteggere e creare valore per i contribuenti in quanto azionisti, con il dovuto riguardo alla stabilità finanziaria ed agendo in una maniera tale da promuovere la competizione. Come la UKFI bilancerà il suo obiettivo di massimizzazione della crescita economica del Regno Unito, che potrebbe implicare temporaneamente un livello dei tassi inferiori al costo del capitale ed al rischio di credito, con quello della massimizzazione dei rendimenti per i suoi azionisti pubblici rimane una domanda senza risposta. In breve, i governi e gli azionisti privati delle banche semi-nazionalizzate potrebbere non concordare sulle misure da intraprendere nel breve periodo: crescita del prodotto interno lordo o profittabilità della banca. Infine, gli effetti dell'intervento del governo saranno anche avvertiti dagli operatori non nazionalizzati in quanto devono competere con operatori garantiti dallo stato.

L'assunzione del rischio da parte dei governi condurrà probabilmente ad una maggiore regolamentazione di tutte le istituzioni finanziare che beneficeranno dei loro aiuti per potersi assicurare che gli investimenti finanziati dai contribuenti siano gestiti correttamente. Ciò rappresenta la seconda parte del contratto implicito tra governi ed istituzioni finanziarie. Questa regolamentazione e supervisione avrà il doppio obiettivo di minimizzare i rischi finanziari sistemici e di proteggere le imprese e le famiglie dalle mancanze del mercato quando si verifichino. A differenza della risposta relativamente contenuta data all'insuccesso del mercato, il grado di cambiamento nella regolamentazione e nel controllo varierò probabilmente da paese a paese, insieme all'approccio nella gestione del capitale e della liquidità, alle riforme compensative, supervisione dei regolamenti del settore non-bancario e in misura minore all'introduzione di sistemi di allarme e di protezione da rischi finanziari sistemici ed un aumento di coordinazione con la regolamentazione straniera.

Minaccia al cammino della globalizzazione

Le previsioni di un forte rallentamento dell'economia mondiale minaccia il cammino della globalizzazione del mercato finanziario e, di conseguenza, le opportunità di crescita per le istituzioni finanziarie internazionali. La globalizzazione finanziaria ha permesso a queste imprese di espandere la propria operatività sia in mercati avanzati che emergenti. Questo è stato un vantaggio per il settore, con il risultato di maggiori ricavi, accesso agli investimenti e diversificazione del portafoglio.

Con il diffondersi degli effetti della crisi finanziaria sulle economie emergenti, la minaccia di un aumento dei controlli sul capitale diventa una seria possibilità. I dibattiti riguardanti il ruolo di flussi di "hot money" nelle crisi finanziarie internazionali, che hanno già richiamato l'attenzione durante la crisi asiatica e quella russa, potrebbero tornare ancora una volta all'attenzione del pubblico. Mentre i governi nazionali indagano sulle cause che hanno portato alla crisi odierna, le tesi per limitare l'esposizione delle economie domestiche alle crisi esterne riguadagneranno probabilmente il rilievo avuto in passato. Se i governi nazionali dovessero chiudersi in se stessi e ripristinare i controlli sui capitali per poter proteggere le proprie economie, queste restrizioni limiterebbero in maniera significativa la crescita e le opportunità di investimento per le istituzioni finanziarie. Questi controlli potrebbero potenzialmente portare a costi maggiori di indebitamento, con equilibri domanda/offerta molto diversi da regione a regione, e potrebbero diminuire la correlazione tra i rendimenti globali degli attivi.

Segni di un rallentamento della globalizzazione dell'economia sono già evidenti nei flussi di capitale e nei volumi del commercio. L'Institute of International Finance prevede che i flussi privati netti di capitale verso le economie emergenti torneranno sui livelli tra il 2005 ed il 2006 dopo aver raggiunto un massimo di 898 miliardi di dollari nel 2007. Similmente, per i flussi del commercio globale, che sono cresciuti del 9,4% nel 2006 e del 7,2% nel 2007, è prevista una crescita di solo il 2,1% nel 2009, il tasso di crescita più basso dal 2001.

Come il numero delle banche nazionalizzate continua a crescere, così accadrà agli incentivi ad adottare politiche bancarie nazionali da parte dei governi. Avendo investito miliardi di dollari nel salvataggio delle banche nazionali, qualche governo potrebbe essere riluttante nel concedere alle banche straniere di competere nel proprio mercato domestico. Questi impulsi potrebbero in qualche maniera essere mitigati dalla necessità di nuove fonti di prestito derivanti da un economia globale. Comunque, se i sentimenti nazionalistici fossero predominanti, potrebbero portare una maggiore frammentazione del sistema bancario, con banche focalizzate maggiormente sui propri mercati domestici.

C'è molta incertezza riguardo al grado col quale la crisi corrente potrebbe sfociare in un'inversione in grande scala della tendenza verso la globalizzazione. Mentre alcune economie potrebbero tentare di isolarsi dal contagio globale futuro, altre probabilmente riconoscono che il danno potenziale derivante da politiche di questo tipo supera i vantaggi. Inoltre, molte delle conseguenze della globalizzazione, come la comparsa di banche globali, l'integrazione del mercato delle obbligazioni e l'interconnessione di dati finanziari e sistemi di comunicazione, sarebbero estremamente difficile da rovesciare. Comunque, un certo grado di inversione rimane una chiara possibilità.

Forze chiave nel breve e lungo periodo

Quindi, nel breve termine (2009-2012), le tendenze dominanti nel sistema finanziario globale continueranno ad essere il deleveraging, l'adattamento agli interventi crescenti dei governi e la debolezza dell'attività economica internazionale. Nel lungo periodo (2009-2020), il livello della leva finanziaria, il ruolo dei governi e le prospettive riguardanti la globalizzazione sono molto più incerti, ma saranno ugualmente aspetti critici per le istituzioni finanziarie alla ricerca di strategie economiche efficaci.

estratto da:
"The future of the global financial system"
World Economic Forum


vedi anche:
Stati Uniti e Regno Unito sull'orlo di un disastro del debito
Baltic dry index e la globalizzazione
Il deleveraging è dannoso per l'economia?

Recupera leggermente il leading index che a dicembre si attesta sui 99,5 in recupero dello 0,3 rispetto al mese precedente.

Ancora una volta a pesare in positivo sull'indice è soprattutto l'aumento dell'aggregato monetario M2, che da solo contribuisce ad un aumento di un punto dell'indice.

Come abbiamo già accennato in un post precedente (vedi qui), a questo aumento continua però a corrispondere un aumento delle riserve totali che per il momento dovrebbe annullare l'effetto positivo che potrebbe avere l'aumento della massa monetaria sull'economia.

Il primo grafico mette in evidenza come a partire da metà settembre, grazie agli interventi massicci della Federal Reserve, il tasso di crescita di M2 sia in costante aumento, se però all'aggregato monetario deduciamo il totale delle riserve possiamo osservare che da quel momento le due variabili, prima perfettamente interscambiabili, si comportano in maniera opposta.

Il secondo grafico ci mostra quindi come il leading index sarebbe alquanto inferiore, 96 circa contro il 99,5 fatto registrare ufficialmente, se nel suo calcolo tenessimo conto di questo aggiustamento.

vedi anche:
Leading indicators nov-08

Gli Stati Uniti ed il Regno Unito sono sull'orlo della più grande crisi debitoria della storia. Mentre entrambi i governi sono alle prese con il "quantitative easing", "bad banks" costituite per assorbire i prestiti in default e garanzie pubbliche atte a far ripartire i prestiti da parte delle banche, la sola via d'uscita reale è una combinazione di fallimenti generalizzati di imprese, ridimensionamento del debito ed inflazione in maniera da ridurre il fardello del debito verso livelli più sostenibili. Tutto il resto sono solo specchietti per le allodole.

Per capire meglio la misura del problema, e del perchè lascia così poche opzioni tra cui scegliere, date un'occhiata al primo grafico, il quale mostra la crescita dell'economia reale (misurata dal prodotto interno lordo nominale) ed il settore finanziario (misurato dal totale degli strumenti del mercato del credito in essere) a partire dal 1952.

Nel 1952, gli Stati Uniti stavano emergendo dopo la seconda guerra mondiale ed il conflitto in Corea con un'economia forte, ed un debito abbastanza contenuto, diviso tra un abbondante debito pubblico (raggiungeva il 68% del pil) ed un relativamente piccolo debito del settore privato (solo il 60% del pil). Nei 23 anni successivi, l'ammontare del debito aumentò, ma l'aumento fu in linea con la crescita del resto dell'economia, quindi il rapporto tra debito totale e prodotto interno lordo non cambiò di molto, dal 128% del 1952 al 155% del 1975.

Il solo vero cambiamento fu nella sua composizione. Il debito del settore privato aumentò più rapidamente (7,8 volte) che quello pubblico (1,5 volte). Ne risultò un cambiamento marcato nella composizione del debito da quello pubblico (solo il 37% del pil nel 1975) verso quello privato (117%). Ma questo non era inusuale. Poteva essere visto come un ritorno ad una condizione di normalità nell'emissione del debito dopo un periodo di guerra nel quale il governo necessitava di risorse per lo sforzo bellico ed aveva limitato il debito privato.

Dagli anni '70 in poi, comunque, l'economia ha subito due cambiamenti strutturali. Primo, l'economia in generale è diventata molto più indebitata. La produzione è aumentata di 8 volte dal 1975 al 2007. Ma l'ammontare totale del debito si è moltiplicato per 20, a velocità più che doppia. Il rapporto tra debito totale e pil è salito dal 155% al 355%. Secondo, quasi tutto questo debito aggiuntivo è derivato dal settore privato, come si nota dal secondo grafico.

Nonostante acri di carta stampata destinata a sovvenzionare il deficit pubblico negli ultimi 30 anni, il debito pubblico è cresciuto solamente di 11,5 volte dal 1975. Ciò è leggermente superiore all'aumento di 8 volte messo a segno dal prodotto interno lordo nello stesso periodo, ma ciononostante il debito pubblico è solamente salito dal 37% al 52% del pil. La vera esplosione del debito si è invece verificata nel settore privato. Il totale del debito privato è cresciuto di 22 volte, tre volte tanto la crescita dell'economia, e tanto veloce da far passare il rapporto del debito del settore privato e pil dal 117% al 303% nell'arco di 30 anni.

In buona parte i politici sono stati a loro agio con la crescita del debito privato. Gli esperti hanno citato più volte una quantità di ragioni per cui l'economia può operare con livelli di debito maggiori che in passato, fra questi i miglioramenti nella gestione macroeconomica che hanno cambiato il ciclo economico e portato ad un'inflazione ed a tassi di interessi più bassi. Ma c'è il sospetto che la tolleranza per il debito del settore privato piuttosto che quello pubblico rifletta una preferenza ideologica.

La montagna del debito

I dati riportati nel terzo grafico mostrano chiaramente come la crescita del debito del settore privato sia diventata insostenibile. Negli anni '60 e '70 il debito totale cresceva sostanzialmente nella stessa misura del prodotto interno lordo nominale. Al 2000-2007 esso è cresciuto circa il doppio della produzione con la maggior parte delle emissioni da parte del settore privato, come anche da parte dello stato e dei governi locali. Questo ha creato una pericolosa interdipendenza tra la crescita del pil (che poteva essere sostenuto solamente attraverso nuovi debiti ed un rapido aumento nel totale del debito) e l'ammontare dei titoli del debito pubblico (che poteva essere soddisfatto solamente se l'economia avesse continuato la sua rapida ed ininterrotta crescita).

Il debito risultante era sostenibile solamente fino a quando le condizioni economiche fossero rimaste favorevoli. Il semplice volume delle obbligazioni del settore privato che l'economia stava sopportando implicava una crescente vulnerabilità ad ogni crisi che avesse cambiato i termini nei quali il finanziamento era disponibile, o alterato il sottostante flusso di cassa del prodotto interno lordo.

Ad innescare la crisi del debito è stato il deterioramento dei criteri di credito e l'aumento dei tassi di default sui mutui ad alto rischio. Ma la divergenza crescente mostrata nei grafici indica che la crisi era diventata inevitabile. Non fossero stati i mutui subprime sarebbe stato qualche altro fattore a provocarla.

Politiche fallaci

I grafici suggeriscono fortemente che la condizione necessaria per risolvere la crisi debitoria è una riduzione dell'ammontare totale del debito, un aumento del pil nominale o una combinazione dei due, in maniera tale da ridurre il rapporto tra debito e pil ad un livello più sostenibile. Da questa prospettiva è chiaro come molte delle politiche messe in atto negli Stati niti e nel Regno Unito non risolveranno la crisi perchè non abbassano questo rapporto.

In particolare, acquistare titoli in sofferenza dalle banche, o concedere una garanzia sui prestiti non è una soluzione efficace. Non riduce il totale del debito nè induce un riconoscimento delle perdite. Semplicemente rinomina delle obbligazioni del settore privato che devono essere onorate dalle famiglie in obbligazioni pubbliche onorate dai contribuenti.

Questo tipo di riallocazione del debito potrebbe avere un senso in caso di una crisi di liquidità piuttosto che in una crisi di solvibilità. Ma in queste circostanze i contribuenti sono chiamati ad assumersi una parte o l'intero costo delle bancarotte, piuttosto che fornire una liquidità temporanea. In una certa maniera, il governo è un posto migliore per assorbire le perdite piuttosto delle banche o degli investitori singolarmente, in quanto può ripartirle su di un vasto numero di contribuenti. Ma nella crisi odierna, l'ammontare del debito che potenzialmente dovrebbe essere rifinanziato è così elevato che prosciugherà anche le risorse fiscali e finanziarie dello stato, e rischia di far scomparire le altre voci di spesa.

Cercare di ridurre il debito attraverso un taglio della spesa e degli investimenti, abbassando i salari, aumentando il risparmio e ripianare il debito attraverso l'avanzo corrente difficilmente sarà efficace a sua volta. Il ritracciamento che ne deriverebbe porterebbe ad una riduzione drastica sia della produzione reale sia del livello dei prezzi, riducendo il pil nominale. Il taglio della spesa da parte dello stato intensificò la depressione durante gli anni '30. Un taglio dei consumi del settore privato ed una riduzione dei salari avranno lo stesso effetto negli anni 2000.

Bancarotta o inflazione

La soluzione deve essere una combinazione di politiche atte a ridurre il livello del debito o ad aumentare il pil nominale. La via più semplice per ridurre il debito è attraverso la bancarotta, nella quale una parte o l'intero debito è ritenuto irrecuperabile e viene semplicemente estinto, cessa di esistere.

La bancarotta garantirebbe che i costi per risolvere la crisi del debito ricadrebbero su coloro ai quali competono. Investitori e fondi pensione sarebbero colpiti gravemente ma in un momento solo. Le imprese sane sopravviverebbero, senza l'aggravio del debito. Ma bancarotte diffuse sono probabilmente socialmente e politicamente inaccettabili.

L'alternativa è un meccanismo di rifinanziamento del debito secondo termini che siano più favorevoli ai debitori (sostituendo il debito a breve termine e a tassi elevati con debito a lungo termine e tassi bassi).

L'ultima opzione è quella di aumentare il pil nominale in modo tale da facilitare il finanziamento del debito grazie all'aumento dei flussi di cassa. Ma le politiche anticicliche per sostenere il pil non saranno sufficienti. I governi degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno bisogno di aumentare il pil nominale e la capacità di finanziamento, non semplicemente sostenerli.

Non c'è molto che un governo possa fare per accellerare il tasso reale di crescita. L'opzione rimanente è tollerare, o addirittura incoraggiare, un tasso di inflazione elevato per migliorare la capacità di finanziamento. Più che non la nazionalizzazione del debito, l'inflazione è il modo migliore per distribuire il costo del ripianamento del debito sulla più ampia fetta di popolazione possibile.

La necessità per abbassare il debito reale ed aumentare il flusso di cassa ne forniscono il motivo, mentre le immissioni enormi di liquidità nel sistema finanziario ne sono il mezzo. La scena è pronta per un lungo periodo di crescita contenuta durante il quale ridurre il debito e per un'aumento dell'inflazione nel medio periodo.

U.S. & UK on brink of debt disaster

vedi anche:
Deficit USA alle stelle
Il Regno Unito ha un rischio di credito superiore a McDonald's
Può lo Zio Sam continuare a pagare per i propri errori?

Le costruzioni di nuove abitazioni negli USA nel mese di dicembre hanno fatto registrare un nuovo record storico negativo, scendendo del 15,5% rispetto a novembre e del 45% rispetto a dicembre 2007.

Andamento molto simile è quello di uno degli indicatori più reattivi nel segnalare una possibile ripresa economica ovvero il numero dei permessi rilasciati che scendono del 10,7% rispetto a novembre e del 50,6% rispetto a dicembre 2007.

L'insieme dei dati non lascia quindi molte speranze ponendo invece dei rischi di una nuova ondata di licenziamenti nel settore delle costruzioni, le quali potrebbero aggravare la situazione per quanto riguarda l'occupazione.

vedi anche:
Mercato immobiliare e recessione

Gli effetti della crisi sulla globalizzazione si fanno sentire anche in Italia, dove a novembre calano i dati riguardanti la bilancia commerciale.

A risentirne maggiormente sono le esportazioni scese del 6,37% rispetto al mese precedente, mentre le importazioni fanno registrare una contrazione del 4,53%.

Il calo destagionalizzato rispetto allo stesso mese del 2007 è invece del 5,53% per le importazioni e del 9,24% per le esportazioni, livello mai raggiunto negli ultimi 15 anni.

Il dato peggiore riguarda le esportazioni nei confronti dei paesi dell'Unione Europea in diminuzione del 16,3% rispetto a novembre 2007, mentre le importazioni sono scese del 15,8%.

vedi anche:
Baltic dry index e la globalizzazione

In un precedente post del 12 ottobre (vedi qui) notavamo una ripresa verificatasi nel credito, guidata da quello relativo al settore immobiliare, successivamente agli interventi della Federal Reserve, ponendo però dei dubbi sulla sostenibilità di questa ripresa.

Tre mesi dopo possiamo constatare come questi dubbi non fossero privi di ragione; il grafico a fianco mette in evidenza come la crescita avuta nel mese di ottobre abbia rapidamente perso lo slancio iniziale e si sia ripristinata la tendenza alla diminuzione del credito.

Particolarmente importante è stato il calo per quanto riguarda il settore commerciale ed industriale che dopo essere cresciuto ancora per il primo semestre del 2008 a ritmi elevatissimi superiori al 20% sia ora in crescita dell'8,68% rispetto all'anno precedente e, date le previsione fosche relative all'economia, sia molto probabilmente destinato a scendere ancora.

vedi anche:
Credito ancora difficile?
Credito difficile

Gli ultimi dati sui trasferimenti di capitali relativi al novembre scorso hanno visto crollare il saldo netto riguardante le obbligazioni a lungo termine del tesoro USA, in negativo per 22,9 miliardi di dollari, un record da quando esistono le statistiche al riguardo.

Dal primo grafico si può notare come negli ultimi mesi si stiano delineando tre tendenze, inizialmente l'abbandono da parte degli investitori esteri delle obbligazioni delle agenzie governative (Fannie Mae e Freddie Mac in primis), successivamente l'impennata nelle richieste di obbligazioni del tesoro a breve termine (t-bills) e per ultimo il crollo delle richieste di obbligazioni del tesoro a lungo termine (t-bonds).

Altro dato in evidenza nel secondo grafico è il calo negli ultimi mesi degli acquisti da parte degli investitori americani di obbligazioni estere, dato che anche in questo caso fa registrare un record storico negativo.

L'insieme di questi dati, se confermati nei prossimi mesi, indica in maniera inequivocabile la situazione di difficoltà della finanza globale, in particolare quella americana e la tendenza da parte degli investitori a reagire con il riallocamento dei capitali dal lungo al breve termine ed il rimpatrio degli stessi nei propri paesi di origine.

vedi anche:
Baltic dry index e la globalizzazione
Rischio default USA (pt. II)

La costruzione della torre alta un chilometro destinata a diventare la più alta del mondo è stata rimandata dalla ditta costruttrice pubblica, un segnale di come la città che sembrava avere risorse ed ambizioni illimitate stia ora lottando per evitare un crollo repentino.

Il costruttore, Nakheel, ha dichiarato mercoledì di aver rimandato la costruzione della torre per poter riadattare i suoi programmi "per meglio riflettere l'andamento del mercato ed adeguare l'offerta alla domanda".

La Nakheel Tower è al centro di quella che la compagnia costruttrice solamente tre mesi fa annunciò come un progetto commerciale e residenziale da 38 miliardi di dollari. Il ritardo arriva dopo altre revisioni di progetti da parte di altri costruttori in conseguenza al calo dei prezzi immobiliari.

Ditte costruttrici e banche hanno già annunciato centinaia di licenziamenti, fra i quali molti immigrati negli ultimi anni per progettare, costruire, vendere e finanziare case. I licenziamenti, nel caso continuassero, potrebbero indebolire ulteriormente i prezzi immobiliari riducendo la popolazione. Circa il 90% del milione e mezzo di abitanti di Dubai è composto da immigrati, tra cui migliaia di lavoratori a basso costo. Un lavoratore licenziato normalmente perde il diritto alla residenza e deve lasciare Dubai entro trenta giorni se non trova un nuovo lavoro.

Hannah Gonzalez, una progettista urbana di 31 anni che si trasferì a Dubai due anni fa, ha perso il proprio lavoro con Woods Bagot, uno studio di design britannico, a novembre. Dice di dover restituire un prestito di 27000 dollari che ha usato per comprare la sua nuova BMW. Ms. Gonzalez, che arriva dalle Filippine, sta cercando un nuovo lavoro, ma "Sto iniziando a pensare che sia molto improbabile".

L'economia di Dubai è particolarmente sensibile ai prezzi immobiliari. Il settore residenziale, delle costruzioni e della finanza insieme rappresentano circa il 40% del prodotto interno lordo, secondo una recente stima di Merrill Lynch.

In un mercato dominato dagli immobili residenziali il prezzo medio delle case è sceso dell'8% nel quarto trimestre rispetto al trimestre precedente, secondo un indice dei prezzi rilasciato martedì dai consulenti immobiliari Colliers International. E' un'inversione di tendenza drammatica in un anno dove i prezzi sono comunque saliti del 59%, nonostante il calo del quarto trimestre.

La debolezza del mercato immobiliare di Dubai minaccia di diffondersi anche ad altri settori critici dell'economia, incluso il settore bancario, che solamente qualche mese fa sembrava relativamente solido. Moody's Investors Service ha ammonito martedì circa l'indebolimento dei fondamentali delle banche degli Emirati Arabi Uniti, costituiti da sette emirati semi-autonomi fra i quali Dubai.

La frenesia speculativa iniziò a Dubai nel 2002 quando si aprirono alcuni progetti immobiliari agli stranieri per la prima volta. Il prezzo del petrolio crescente innescò una marea di spese ed investimenti in tutto il Golfo Persico. Le banche offrivano mutui a basso tasso di interesse con rate molto contenute. Speculatori immobiliari locale e stranieri piombarono sul mercato, spesso comprando e rivendendo appartamento o case addirittura prima che la costruzione iniziasse.

Nel novembre 2007, Adrienne Schwartz, 32 anni, si trasferì a Dubai da Houston quando suo marito ebbe un lavoro da una compagnia petrolifera. Aveva lavorato precedentemente come ingegnere e consulente e fece un colloquio di lavoro alla Nakheel.

La prima domanda fu "Quando può iniziare?" dice.

All'inizio dell'ottobre 2008, durante un evento tenuto dagli attori Catherine Zeta-Jones e Michael Douglas, Nakheel annunciò che avrebbe costruito la torre alta un chilometro. Lo stesso mese Woods Bagot annunciava che stava progettando la costruzione.

Ma le ripercussioni della crisi di liquidità globale si stavano già dirigendo verso le coste di Dubai. Le banche locali, in difficoltà sui mercati internazionali dei capitali sopo la bancarotta di Lehman Brothers, bloccarono i finanziamenti o innalzarono i requisiti per i mutui.

Ad ottobre, in media, i prezzi degli appartamenti già esistenti e delle ville indipendenti sono scesi del 4% dal mese precedente, secondo HSBC. Questo dopo essere cresciuti del 17% il mese precedente. Il calo mensile è stato il primo da quando l'emirato aprì i mercati agli stranieri, secondo gli analisti della banca.

Il calo non rispecchia il quadro dipinto da molti agenti immobiliari. Gli acquirenti sono scomparsi e le transazioni non venivano concuse a nessun prezzo dicono. I prezzi di acquisto di molte delle proprietà più costose sono crollate del 49% in un mese, secondo HSBC.

A novembre Nakheel ha dichiarato di voler licenziare 500 impiegati, circa il 15% della sua forza lavoro. Ms. Schwartz è una di questi. Suo marito sta ancora lavorando, ma la coppia inizia a preoccuparsi nel caso anche lui perdesse il lavoro.

Ms. Schwartz dice di aver capito che il boom immobiliare era guidato dalla speculazione e si sarebbe probabilmente esaurito. "Era inevitabile" dice. "Ma mi ha sorpreso la velocità con il quale ciò è accaduto".

Alla fine di novembre, Limitless, un'altro costruttore pubblico, ha dichiarato di voler rivedere i tempi di una costruzione di un canale per 61 miliardi di dollari. Il mese scorso, il costruttore pubblico Meraas ha dichiarato di voler rivedere un progetto per 95 miliardi di dollari nel cuore di Dubai.

Nakheel ha annunciato venerdì di riprendere i lavori di costruzione della torre entro un anno. Poi, solo per le fondamenta ci vorranno tre anni di lavori. L'altezza della torre dovrebbe superare quella del nuovo grattacielo Burj Dubai, per il quale i lavori dovrebbero terminare quest'anno secondo il costruttore Emaar Properties PJSC.

Funzionari di Nakheel hanno anche dichiarato che i lavori rallenteranno in due delle loro tre isole a forma di palma di fronte alla costa della città. La prima di queste isole, costellata di costose ville in fronte al mare ed alberghi sta per essere completata.

Ms. Gonzalez, che ha perso il suo lavoro con Woods Bagot, dice che la compagnia le ha versato lo stipendio di un mese come buonuscita ed ha rinnovato il suo visto per tre mesi. Se non trova lavoro dovrà lasciare la città a fine mese.

Woods Bagot ha negato ogni commento sui licenziamenti a Dubai.

Mentre cerca un nuovo lavoro, Ms. Gonzalez sta anche cercando di vendere la propria macchina. Un giornale in lingua inglese ha riportato voci attribuite a funzionari della polizia di stanza all'aereoporto di Dubai secondo le quali molte delle recenti automobili ritrovate nel parcheggio dell'aereoporto potrebbero essere state abandonate da immigrati che lasciano il paese.

"Ho sentito racconti di persone che lasciano le proprie automobili all'aereoporto e lasciano il paese" dice Ms. Gonzalez. "Spero di non fare la stessa fine".

Dubai skyscaper delayed amid cutbacks, layoffs

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Baltic dry index e la globalizzazione

A fianco riportiamo due grafici estratti da un recente studio dedicato alle conseguenze derivanti dalle crisi bancarie sistemiche verificatasi in passato nel quale vengono analizzati i più importanti eventi finanziari negativi del dopoguerra ed in aggiunta i due eventi precedenti (Norvegia 1899, USA 1929) dei quali sono disponibili dati storici.

I risultati ci ricordano quanto in passato questi eventi hanno inciso negativemente sui principali indicatori dell'economia reale.

Si può così notare come la media del calo dei prezzi immobiliari reali sia stata in passato del 35,5% nel corso di 6 anni, quello del prezzo reale delle azioni sia stato del 55,9% in 3,4 anni, la disoccupazione sia aumentata mediamente del 7% nell'arco di 4,8 anni mentre la diminuzione del prodotto interno lordo reale sia stata del 9,3% e sia durata 1,9 anni.

Impressionante anche l'aumento del debito pubblico registrato nei tre anni successivi alla crisi, il quale ha fatto registrare mediamente un aumento del 86% dovuto per la maggior parte al calo delle entrate fiscali.

la ricerca può essere scaricata a questo link:
The aftermath of financial crises

vedi anche:
Un confronto con il passato

In linea con le aspettative il deficit di bilancio degli USA che a dicembre è stato di 83,6 miliardi di dollari contro i 164,4 miliardi di dollari di novembre.

Il dato apparentemente in miglioramento va però confrontato con i valori dello stesso mese degli anni passati in quanto durante l'anno si verificano variazioni legate al mese di riscossione di alcuni tributi.

Dal primo grafico si può notare come in realtà il dato, pur essendo migliore degli ultimi due mesi, non sia per nulla positivo in quanto il mese di dicembre è storicamente un mese nel quale si verifica un surplus di bilancio anzichè un deficit.

Il secondo grafico mostra invece come il deficit del 2008 abbia raggiunto livelli senza precedenti, più del doppio rispetto al precedente massimo fatto registrare nel 2004 e superiore a quattro volte quello del 2007.

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Rischio default USA (pt. II)
Può lo Zio Sam continuare a pagare per i propri errori?

Nessuna sorpresa dai dati riguardanti la disoccupazione, cresciuta a dicembre del 7,2% rispetto allo stesso mese del 2007.

L'economia americana ha perso nel corso dell'anno ben 2,6 milioni di posti di lavoro, un calo che non si verificava dal 1945 in conseguenza alla fine della guerra.

Un dato più generale sul quale forse al momento non si presta molta attenzione, ma che è sicuramente molto importante per molti aspetti è la percentuale di lavoratori rispetto alla popolazione totale.

Il rapporto è al momento del 61%, dato che non si registrava dal dicembre 1986 ma comunque, per il momento, superiore alla soglia critica del 60%.

Dal grafico a fianco si può notare, oltre al recente crollo, come però il suo deterioramento non si sia verificato solamente negli ultimi mesi, ma inizi nel 2000, un segnale che potrebbe rafforzare la tesi che l'economia non stia attraversando solamente una recessione come in passato, ma forse sia da quella data entrata in un periodo di ristagno se non addirittura di inversione di tendenza.

vedi anche:
La borsa reale (pt. II)
Economia in fase calante dal 2000, non da oggi

A novembre sono scesi del 4,6% i nuovi ordini all'industria, dopo un calo del 6% a ottobre.

A guidare il crollo soprattutto la diminuzione senza precedenti dei nuovi ordini di beni non durevoli, dovuto soprattutto al crollo del prezzo del petrolio.

Il grafico a fianco mostra l'andamento dei nuovi ordini e delle scorte, suddivisi tra beni durevoli e non durevoli; si può notare come storicamente prima di una ripresa degli ordini è necessaria una riduzione delle scorte.

Al momento se per quanto riguarda i beni non durevoli una riduzione delle scorte si è realizzata negli ultimi mesi riportandone il valore sui livelli di fine 2007, non è ancora stato così per le scorte di beni durevoli, in crescita a novembre del 7,92% rispetto allo stesso mese del 2007.

La piccola casa blu posa sopra alcuni pezzi di legno ed un blocco di cemento. Le mura esteriori, parzialmente marcite, si piegano solamente toccandole. Ad un certo punto, qualcuno ha conficcato un coltello da cucina nel rivestimento. Un certificato appeso al muro dice: "Non abitabile".

La storia della catapecchia di due camere da letto, un bagno in West Hopi Street, è la storia di quest'anno di panico finanziario, raccontato in 576 piedi quadrati. Aiuta a spiegare come una serie di decisioni sbagliate possono sfociare nella peggior crisi finanziaria dopo la Grande Depressione.

Poco più di due anni fa, Integrity Funding LLC, una finanziaria locale, concesse un mutuo da 103000 dollari alla proprietaria, Marvene Halterman, una donna disoccupata con una lunga lista di creditori e, dai suoi racconti, un'altrettanto lunga storia di abusi di droga ed alcol. Nel tempo intercorrente prima che la casa venisse pignorata ad agosto, Integrity aveva venduto il mutuo a Wells Fargo & Co., che lo rivendeva ad un'unità della HSBC Holdings PLC, che lo impacchettò insieme a migliaia di altri mutui rischiosi e venduto a pezzetti ad una moltitudine di investitori. Oggi, questi investitori saranno fortunati se riceveranno 15000 dollari. Questo solamente grazie al fatto che i vicini di casa hanno comprato la proprietà qualche giorno fa, per poterla abbattere.

Al centro di questa storia è la 61enne Ms. Halterman, la quale ha capelli arruffati biondo-grigi, una voce da fumatrice rude quanto dolce. E' cresciuta qui, lavorando saltuariamente come contadina, segretaria, camionista e aiuto infermiera. Presto, la bottiglia di vodka al pompelmo che portava da tempo nella sua borsa ha avuto la meglio su di lei. "I superalcolici sono stati la mia rovina", dichiara. Ms. Halterman dice di aver bevuto per l'ultima volta il 3 gennaio 1996. Oggigiorno la sua bevanda preferita è la Pepsi.

Colleziona roba vecchia. Il suo cortile nella casa di West Hopi era pieno di vestiti, pneumatici, cestini di lavatrici e mobili rotti. A giugno ha ricevuto un'ingiuzione dal comune per quella che l'ufficiale addetto descrive come "un mucchio esorbitante di immondizia, rottami e macerie". Ms. Halterman colleziona anche persone. Nello stesso momento, dichiara, 23 persone vivevano nella piccola casa o in varie catapecchie pericolanti nel cortile. La combriccola includeva nipoti, una vecchia amica che aveva perso la sua casa dopo un pignoramento, un Chihuahua, ed il figlio di un anno di una donna che la sorella adottiva di Ms. Halterman aveva incontrato in galera. Recentemente nella buca delle lettere ha ricevuto un bollettino mandato da un'agenzia dello stato con un articolo intitolato "Crescere figli di genitori incarcerati, parte prima". "Dovrei leggerlo", dice ad alta voce a se stessa. Tiene i bambini in riga con le coccole e le false minacce. "E' meglio che ti metti quella maglietta, altrimenti arriva un poliziotto e ti porta in carcere", dice ad un bambino. Un altro, con il padre in prigione, è nato con un problema al cuore collegato all'uso di droghe da parte della madre, dice Ms. Halterman. Lei lo ha assistito pazientemente. "Mi è costato moltissimo riuscire a fargli superare le 15 libbre", ricorda.

Ms. Halterman non ha avuto un lavoro per circa 13 anni. Riceve circa 3000 dollari al mese dai programmi sociali, buoni cibo ed una disabilità relativa ad un vecchio incidente. "Non ho tutto ciò che vorrei, ma ho tutto ciò di cui ho bisogno", dice. Quarant'anni fa, quando comprò la casa in West Hopi Street per 3500 dollari, Avondale era un piccolo paese costruito intorno a delle coltivazioni di cotone. Dal 2000 al 2005, nel pieno del boom immobiliare, ha raddoppiato le sue dimensioni fino a raggiungere i 70000 residenti. Oggi, una casa su nove ad Avondale è stata pignorata o molto vicina ad esserlo.

Il suo finanziatore, Integrity, era una delle miriadi di piccole agenzie di mutui che si diffusero in tutto il paese durante il boom, usando prestiti delle grandi banche per generare mutui da rivendere alle grandi istituzioni finanziarie. Mentre il profitto delle agenzie finanziarie tradizionali deriva dai pagamenti mensili dei debitori, il profitto di Integrity era costituito da spese e commissioni. Il proprietario dell'agenzia era Barry Rybicki, 37 anni, ex impiegato addetto ai mutui che iniziò la sua attività nel 2003. Degli anni del boom egli dice: "Se avevi anche solo un battito cardiaco potevi ottenere un mutuo".

Quando un operatore telefonico di Integrity chiamò Ms. Halterman nel 2006, lei era in difficoltà finanziarie, con un mutuo di 36605 dollari. Integrity la aiutò ad ottenere una linea di credito di 75500 dollari da un altra banca. Ms. Halterman la usò per finire di pagare il suo camioncino ed altre cose. Ma presto finì anche questi soldi. All'inizio del 2007, chiese aiuto a Integrity. Questa volta Integrity concesse un mutuo trentennale di 103000 dollari. Aveva un tasso variabile che iniziava al 9,25% con un massimo al 15,25%. Era uno dei 197 mutui concessi da Integrity l'anno scorso, per un totale di 47 milioni di dollari.

Per un costo di 350 dollari, un consulente reclutato da Integrity, Michael T. Asher, valutò la casa 132000 dollari. Mr. Asher dice che anche se personalmente non credeva che la casa valesse così tanto, seguì le normali procedure e trovò case simili nelle vicinanze che erano state vendute per cifre del genere nel 2006. "Non era una stima per il futuro", dichiara Mr. Asher. "Era una stima in quel momento". T.J. Heage, un agente immobiliare reclutato successivamente per la vendita della casa, dice che è riucito a trovare solo una casa simile nelle vicinanze venduta all'inizio del 2007, per 63000 dollari.

Alla fine, il 26 febbraio 2007, Integrity aveva guadagnato 6153 dollari di commissioni di sottoscrizione, intermediazione, istruttoria, documentazione, richiesta di mutuo, elaborazione, finanziamento e certificazione dei flussi. Pochi giorni dopo, Integrity trasferì il mutuo a Wells Fargo, guadagnando altri 3090 dollari, dichiara Mr. Rybicki. Kevin Waetke, di Wells Fargo Home & Consumer Finance Group, ha dichiarato per scritto che "sembra che il consulente... confermi che il valore della proprietà era pienamente corretto al momento della chiusura del contratto di mutuo".

Mr. Rybicki dice che mai nè lui nè il suo addetto ai mutui videro mai la casa blu. Quando gli fu mostrata una fotografia il mese scorso egli esclamò: "Wow". "Quando hai 50 impiegati, per quanto tu sia responsabile del loro operato, non riesci a seguire ogni cosa", dice Mr. Rybicki.

Dopo aver pagato le spese e altri debiti Ms. Halterman rimase con 11090,33 dollari. Ms. Halterman dice di averli spesi per un pavimento nuovo, un recinto, alcuni restauri ed in cibo. "Niente carne o aragosta, solo hamburger e pollo". Presto il denaro finì. Nel giro di pochi mesi iniziò ad essere preoccupata perchè la casa era così decrepita da non essere sicura per i bambini. Andò in affitto lì vicino. Suo figlio Leslie Merritt prese la residenza in West Hopi Street e si assunse la responsabilità della rata mensile di 881 dollari.

Quando Wells Fargo vendette il mutuo alla HSBC, venne impacchettato insieme ad altri 4050 mutui e usato come collaterale per un'obbligazione emessa nel luglio del 2007. Più dell'85% dei mutui era, come quello di Ms. Halterman, "subprime" ovvero mutui concessi a debitori con precedenti insolvenze, secondo Tom Atteberry di First Pacific Advisors LLC, una compagnia di investimenti di Los Angeles. Le agenzie di ratings Standard & Poor's e Moody's Investors Service assegnarono all'obbligazione il rating massimo tripla-A, il che significa che gli investitori erano più che convinti della restituzione del prestito più gli interessi. S&P si è rifiutata di spiegare la propria valutazione, mentre un portavoce di Moody's non ha risposto alla richiesta di un commento.

Così la piccola casa blu di Ms. Halterman è finita nell'oceano immenso delle obbligazioni garantite da mutui che stanno mettendo in pericolo l'intero sistema finanziario americano. Qualcosa come 4100 miliardi di dollari di mutui americani furono impacchettati in obbligazioni tra il 2005 ed il 2006, tra i quali 1600 miliardi di subprime ed altri mutui ad alto rischio, secondo Inside Mortgage Finance, una pubblicazione del settore.

Insieme ad altri investitori, il Fondo Pensioni degli Insegnanti di Oklahoma ha acquistato 500000 dollari della nuova obbligazione, secondo il capo investimenti Bill Puckett. Un altro acquirente è il gigante delle obbligazioni Pacific Investment Management Co., che ha declinato ogni commento.

Presto, il figlio di Ms. Halterman, Mr. Merritt, smise di pagare il mutuo. Egli ricadde nella dipendenza da metanfetamine. "Non mi importava più di nulla a parte i miei vizi e a ragazza che frequentavo", dichiara. Mr. Merritt è ora in prigione per traffico di rame rubato. A gennaio, Ms. Halterman ritornò nella casa e fece l'ultimo pagamento di una rata. La pratica per il pignoramento iniziò a maggio. A settembre ci fu lo sfratto. Ms. Halterman dice che non vorrebbe mai aver effettuato il primo mutuo. "Pensavo mi servisse", dice. "Guardandomi indietro, mi serviva un bel calcio nel ...".

Altri mutui impacchettati come collaterale dell'obbligazione emessa da HSBC hanno avuto problemi. A novembre il 25% erano stati pignorati, in fase di pignoramento o almeno in ritardo di una rata mensile, dichiara Mr. Atteberry. HSBC ha declinato ogni commento.

Mr. Rybicki ha dismesso la propria licenza di operatore su mutui a settembre. Ora lavora per una ditta di investimenti innovativi. "Le banche hanno parte della responsabilità", Mr. Rybicki dice riguardo alla bolla immobiliare. "E penso che noi abbiamo avuto anche una parte della responsabilità. Eravamo parte del sistema. Allo stesso modo lo erano i clienti".

Wells Fargo, a cui fa riferimento il mutuo di West Hopi Street, ha sigillato la casa e portato via i detriti. E lunedì scorso la casa è stata venduta per 18000 dollari a Daniel e Delia Arce, i quali vivono a fianco in una piccola casa di mattoni. Tolte le spese, gli acquirenti dell'obbligazione collegata ai mutui si divideranno probabilmente i restanti 15000 dollari.

Poche settimane fa, Mr. Arce ha chiesto a Mike Summers, l'impiegato addetto del comune, se fosse necessario un permesso per abbattere la casa blu. "Si", ha risposto Mr. Summers, "ma tutto quello di cui ha bisogno è una grande draga che si metta subito al lavoro".

Would you pay $103,000 for this fixer-upper?

vedi anche:
Conseguenze dei pignoramenti: case in vendita a 1 dollaro
A Escondido: compri una (casa), ne hai un'altra in omaggio

Il grafico a fianco analizza i livelli minimi raggiunti dal mercato azionario durante le precedenti recessioni dal dopoguerra, in particolare i mesi di differenza tra il minimo del mercato ed il minimo raggiunto dall'economia in fase di recessione, ed il rapporto prezzo/utili al momento dei minimi.

Come si può notare in nove casi su dieci il mercato ha anticipato l'economia reale, toccando i minimi da tre a otto mesi prima dell'economia; unica eccezione è stata la recessione del 2001 quando il mercato toccò dei minimi ben undici mesi dopo.

Il rapporto prezzi/utili ha delle variazioni ancor più significative, passando da recessioni con minimi tra i 6 e gli 8 a recessioni, come le ultime due, con rapporti intorno ai 14-15.

Da questa analisi difficilmente si possono quindi trarre delle conclusioni riguardo al minimo fatto registrare in novembre dall'indice s&p 500, sembrerebbe però che difficilmente l'economia possa trovare una ripresa a breve quindi il mercato nei prossimi mesi potrebbe raggiungere nuovi minimi, abbassando in tal caso anche il rapporto prezzo/utili, al momento intorno a 14,10, riportandolo verso la media rilevata nelle precedenti recessioni.

Crolla l'indice manifatturiero PMI che a dicembre vale 32,4, livello molto vicino ai minimi toccati durante la recessione del 1980, con tutte le dieci componenti dell'indice in calo.

Nel primo grafico si nota la forte correlazione tra l'indice e il rapporto tra nuovi ordini e scorte, rapporto che spesso ha anticipato il movimento dell'indice, soprattutto in discesa, e che ha toccato a dicembre un livello mai così basso da quando viene rilevato; sebbene in calo le scorte non tengono il passo del crollo nei nuovi ordini il cui indice vale ora 22,7 contro il precedente record negativo del 1980, quando toccò i 24,2.

Nel secondo grafico è invece riportato l'andamento delle scorte dei clienti, indice rilevato soltanto dal 1997, in crescita ancora a dicembre, e senza una cui diminuzione difficilmente si potranno vedere dei miglioramenti nei nuovi ordini.





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