Gli Stati Uniti ed il Regno Unito sono sull'orlo della più grande crisi debitoria della storia. Mentre entrambi i governi sono alle prese con il "quantitative easing", "bad banks" costituite per assorbire i prestiti in default e garanzie pubbliche atte a far ripartire i prestiti da parte delle banche, la sola via d'uscita reale è una combinazione di fallimenti generalizzati di imprese, ridimensionamento del debito ed inflazione in maniera da ridurre il fardello del debito verso livelli più sostenibili. Tutto il resto sono solo specchietti per le allodole.

Per capire meglio la misura del problema, e del perchè lascia così poche opzioni tra cui scegliere, date un'occhiata al primo grafico, il quale mostra la crescita dell'economia reale (misurata dal prodotto interno lordo nominale) ed il settore finanziario (misurato dal totale degli strumenti del mercato del credito in essere) a partire dal 1952.

Nel 1952, gli Stati Uniti stavano emergendo dopo la seconda guerra mondiale ed il conflitto in Corea con un'economia forte, ed un debito abbastanza contenuto, diviso tra un abbondante debito pubblico (raggiungeva il 68% del pil) ed un relativamente piccolo debito del settore privato (solo il 60% del pil). Nei 23 anni successivi, l'ammontare del debito aumentò, ma l'aumento fu in linea con la crescita del resto dell'economia, quindi il rapporto tra debito totale e prodotto interno lordo non cambiò di molto, dal 128% del 1952 al 155% del 1975.

Il solo vero cambiamento fu nella sua composizione. Il debito del settore privato aumentò più rapidamente (7,8 volte) che quello pubblico (1,5 volte). Ne risultò un cambiamento marcato nella composizione del debito da quello pubblico (solo il 37% del pil nel 1975) verso quello privato (117%). Ma questo non era inusuale. Poteva essere visto come un ritorno ad una condizione di normalità nell'emissione del debito dopo un periodo di guerra nel quale il governo necessitava di risorse per lo sforzo bellico ed aveva limitato il debito privato.

Dagli anni '70 in poi, comunque, l'economia ha subito due cambiamenti strutturali. Primo, l'economia in generale è diventata molto più indebitata. La produzione è aumentata di 8 volte dal 1975 al 2007. Ma l'ammontare totale del debito si è moltiplicato per 20, a velocità più che doppia. Il rapporto tra debito totale e pil è salito dal 155% al 355%. Secondo, quasi tutto questo debito aggiuntivo è derivato dal settore privato, come si nota dal secondo grafico.

Nonostante acri di carta stampata destinata a sovvenzionare il deficit pubblico negli ultimi 30 anni, il debito pubblico è cresciuto solamente di 11,5 volte dal 1975. Ciò è leggermente superiore all'aumento di 8 volte messo a segno dal prodotto interno lordo nello stesso periodo, ma ciononostante il debito pubblico è solamente salito dal 37% al 52% del pil. La vera esplosione del debito si è invece verificata nel settore privato. Il totale del debito privato è cresciuto di 22 volte, tre volte tanto la crescita dell'economia, e tanto veloce da far passare il rapporto del debito del settore privato e pil dal 117% al 303% nell'arco di 30 anni.

In buona parte i politici sono stati a loro agio con la crescita del debito privato. Gli esperti hanno citato più volte una quantità di ragioni per cui l'economia può operare con livelli di debito maggiori che in passato, fra questi i miglioramenti nella gestione macroeconomica che hanno cambiato il ciclo economico e portato ad un'inflazione ed a tassi di interessi più bassi. Ma c'è il sospetto che la tolleranza per il debito del settore privato piuttosto che quello pubblico rifletta una preferenza ideologica.

La montagna del debito

I dati riportati nel terzo grafico mostrano chiaramente come la crescita del debito del settore privato sia diventata insostenibile. Negli anni '60 e '70 il debito totale cresceva sostanzialmente nella stessa misura del prodotto interno lordo nominale. Al 2000-2007 esso è cresciuto circa il doppio della produzione con la maggior parte delle emissioni da parte del settore privato, come anche da parte dello stato e dei governi locali. Questo ha creato una pericolosa interdipendenza tra la crescita del pil (che poteva essere sostenuto solamente attraverso nuovi debiti ed un rapido aumento nel totale del debito) e l'ammontare dei titoli del debito pubblico (che poteva essere soddisfatto solamente se l'economia avesse continuato la sua rapida ed ininterrotta crescita).

Il debito risultante era sostenibile solamente fino a quando le condizioni economiche fossero rimaste favorevoli. Il semplice volume delle obbligazioni del settore privato che l'economia stava sopportando implicava una crescente vulnerabilità ad ogni crisi che avesse cambiato i termini nei quali il finanziamento era disponibile, o alterato il sottostante flusso di cassa del prodotto interno lordo.

Ad innescare la crisi del debito è stato il deterioramento dei criteri di credito e l'aumento dei tassi di default sui mutui ad alto rischio. Ma la divergenza crescente mostrata nei grafici indica che la crisi era diventata inevitabile. Non fossero stati i mutui subprime sarebbe stato qualche altro fattore a provocarla.

Politiche fallaci

I grafici suggeriscono fortemente che la condizione necessaria per risolvere la crisi debitoria è una riduzione dell'ammontare totale del debito, un aumento del pil nominale o una combinazione dei due, in maniera tale da ridurre il rapporto tra debito e pil ad un livello più sostenibile. Da questa prospettiva è chiaro come molte delle politiche messe in atto negli Stati niti e nel Regno Unito non risolveranno la crisi perchè non abbassano questo rapporto.

In particolare, acquistare titoli in sofferenza dalle banche, o concedere una garanzia sui prestiti non è una soluzione efficace. Non riduce il totale del debito nè induce un riconoscimento delle perdite. Semplicemente rinomina delle obbligazioni del settore privato che devono essere onorate dalle famiglie in obbligazioni pubbliche onorate dai contribuenti.

Questo tipo di riallocazione del debito potrebbe avere un senso in caso di una crisi di liquidità piuttosto che in una crisi di solvibilità. Ma in queste circostanze i contribuenti sono chiamati ad assumersi una parte o l'intero costo delle bancarotte, piuttosto che fornire una liquidità temporanea. In una certa maniera, il governo è un posto migliore per assorbire le perdite piuttosto delle banche o degli investitori singolarmente, in quanto può ripartirle su di un vasto numero di contribuenti. Ma nella crisi odierna, l'ammontare del debito che potenzialmente dovrebbe essere rifinanziato è così elevato che prosciugherà anche le risorse fiscali e finanziarie dello stato, e rischia di far scomparire le altre voci di spesa.

Cercare di ridurre il debito attraverso un taglio della spesa e degli investimenti, abbassando i salari, aumentando il risparmio e ripianare il debito attraverso l'avanzo corrente difficilmente sarà efficace a sua volta. Il ritracciamento che ne deriverebbe porterebbe ad una riduzione drastica sia della produzione reale sia del livello dei prezzi, riducendo il pil nominale. Il taglio della spesa da parte dello stato intensificò la depressione durante gli anni '30. Un taglio dei consumi del settore privato ed una riduzione dei salari avranno lo stesso effetto negli anni 2000.

Bancarotta o inflazione

La soluzione deve essere una combinazione di politiche atte a ridurre il livello del debito o ad aumentare il pil nominale. La via più semplice per ridurre il debito è attraverso la bancarotta, nella quale una parte o l'intero debito è ritenuto irrecuperabile e viene semplicemente estinto, cessa di esistere.

La bancarotta garantirebbe che i costi per risolvere la crisi del debito ricadrebbero su coloro ai quali competono. Investitori e fondi pensione sarebbero colpiti gravemente ma in un momento solo. Le imprese sane sopravviverebbero, senza l'aggravio del debito. Ma bancarotte diffuse sono probabilmente socialmente e politicamente inaccettabili.

L'alternativa è un meccanismo di rifinanziamento del debito secondo termini che siano più favorevoli ai debitori (sostituendo il debito a breve termine e a tassi elevati con debito a lungo termine e tassi bassi).

L'ultima opzione è quella di aumentare il pil nominale in modo tale da facilitare il finanziamento del debito grazie all'aumento dei flussi di cassa. Ma le politiche anticicliche per sostenere il pil non saranno sufficienti. I governi degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno bisogno di aumentare il pil nominale e la capacità di finanziamento, non semplicemente sostenerli.

Non c'è molto che un governo possa fare per accellerare il tasso reale di crescita. L'opzione rimanente è tollerare, o addirittura incoraggiare, un tasso di inflazione elevato per migliorare la capacità di finanziamento. Più che non la nazionalizzazione del debito, l'inflazione è il modo migliore per distribuire il costo del ripianamento del debito sulla più ampia fetta di popolazione possibile.

La necessità per abbassare il debito reale ed aumentare il flusso di cassa ne forniscono il motivo, mentre le immissioni enormi di liquidità nel sistema finanziario ne sono il mezzo. La scena è pronta per un lungo periodo di crescita contenuta durante il quale ridurre il debito e per un'aumento dell'inflazione nel medio periodo.

U.S. & UK on brink of debt disaster

vedi anche:
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