Il reddito pro-capite è aumentato in ottobre dello 0,3% mentre il reddito pro-capite disponibile è salito dello 0,4% nello stesso periodo.
Ancora una volta però il dato, seppur in crescita, non è accompagnato da elementi che contraddistinguono una possibile ripresa economica.
La crescita rispetto al mese di ottobre del 2007 delle retribuzioni è infatti solamente del 2,5%, livello precedentemente raggiunto nel 2002, e molto probabilmente, considerato l'aumento della disoccupazione, destinato a scendere ulteriormente nei prossimi mesi; mentre negativo è anche il dato sui consumi, in calo dell'1% rispetto al mese precedentemente.
Il dato forse meno atteso è la crescita del tasso di rispamio che ha raggiunto il 2,4%, dato che sicuramente si rivelerà molto importante in futuro, dall'uso che i consumatori faranno di questi risparmi dipenderà infatti molto l'andamento dell'economia.
Ancora brutte notizie per il settore immobiliare, con il crollo dei consumi la percentuale di edifici commerciali sfitti è salita al 9,3% dal 7,5% dell'anno scorso.
Scendono di conseguenza anche i prezzi degli affitti in calo dello 0,2% rispetto all'anno passato, il che rende al momento gli investimenti nel settore immobiliare commerciale decisamente non attraenti.
Dato il probabile declino ulteriore che potranno avere i consumi nei prossimi mesi, il settore potrebbe essere colpito gravemente con conseguenze negative anche sul numero di costruzioni future e quindi sul totale degli investimenti non residenziali.
Nella scorsa settimana si è verificato un ulteriore peggioramento nelle previsioni riguardanti l'inflazione che si derivano dai rendimenti dei titoli del tesoro USA indicizzati all'inflazione.
I differenziali tra i titoli indicizzati e quelli a reddito fisso (vedi qui) sono infatti ulteriormente scesi per le scadenze a 5 e 7 anni e si sono nell'ultima settimana azzerati per quanto riguarda i titoli decennali.
Le previsioni di un periodo di deflazione e di depressione dell'economia continuano quindi a crescere e si estendono ad un periodo sempre più lungo, in quanto il movimento ha coinvolto anche i titoli ventennali, per i quali rimane comunque positivo il differenziale, per il momento.
Quello che un tempo sembrava impensabile è accaduto: enormi salvataggi da parte del Tesoro e della Federal Reserve, e la distribuzione di miliardi di dollari dei contribuenti o del credito della banca centrale a file di pretendenti che crescono di giorno in giorno.
Ma cosa succederà nel caso le richieste iniziassero a creare tensioni sul credito del creditore più solvibile al mondo, il governo degli USA stesso? Impensabile?
Solo nella scorsa settimana, il finanziamento ad AIG è stato aumentato dagli originali 85 miliardi di dollari a 150; Freddie Mac ha chiesto altri 13,8 miliardi di dollari dopo averne ricevuti già 100 attraverso un'infusione di capitale insieme a Fannie Mae, la quale sembra necessiti a sua volta di altra liquidità; American Express si è convertita in una holding bancaria al fine di poter usufruire degli aiuti del piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari (TARP); 139 miliardi di dollari di debito dell'unità finanziaria della General Electric hanno beneficiato di una garanzia diretta della FDIC.
E, certamente, Detroit è alla ricerca di una linea di credito da parte di Washington in quanto la General Motors potrebbe finire la liquidità in assenza di un salvataggio.
Inoltre, dopo aver attinto a gran parte dei primi 250 miliardi di dollari della TARP in poche settimane, il segretario del Tesoro Hank Paulson ha dichiarata la scorsa settimana che gli aiuti non verranno usati per il loro fine originario, acquistare titoli illiquidi legati ai mutui, ma piuttosto per sostenere direttamente il credito al consumo ed in genere.
Il Tesoro prenderà in prestito 550 miliardi di dollari nel trimestre corrente, e 368 miliardi nel primo trimestre del 2009. Alla fine potrebbe darsi alla fuga con lo Zio Sam. Questo è ciò che la curva dei tassi potrebbe suggerire. La curva dei tassi è il grafico dei rendimenti delle obbligazioni del Tesoro a scadenze crescenti, a partire da un mese fino ai trenta anni. Se gli investitori prevedono che i tassi aumentino, vorranno un premio maggiore per investire in scadenze a lungo termine, o rimarranno corti in attesa di un rendimento maggiore in futuro.
La curva dei tassi, dai due ai dieci anni, che è quella che viene presa in considerazione dal mercato del credito, è raramente stata più inclinata verso l'alto. La differenza è di 250 punti base (2,5%), un livello raggiunto negli ultimi 25 anni solo nel 2002 e nel 1992, in concomitanza delle recessioni.
Una curva dei tassi così inclinata normalmente riflette una previsione da parte degli investitori di una ripresa economica. Non è importante che la curva si sia inclinata mentre l'economia peggiorava e le prospettive di una ripresa diminuivano.
Insieme a molte altre cose, qualcos'altro è accaduto quest'anno. L'inclinazione della curava dei tassi è stata accompagnata dall'aumento dei costi di assicurazione contro il default del Tesoro.
Potrebbe impressionare, ma sì, esistono dei credit default swaps sul governo americano, e sono diventati più cari, contemporaneamente all'aumento dello spread tra i rendimenti a dieci e due anni.
La relazione è stata messa in luce da Tim Backshall, capo analista di Credit Derivatives Researh. L'interesse degli investitori per i titoli del Tesoro a breve termine si "contrappone all'offerta eccessiva e alle aspettative di inflazione sul lungo termine", ha scritto.
Scott Minerd, capo ufficio investimenti a reddito fisso di Guggenheim Partners, prevede che il debito totale del Tesoro per l'anno fiscale 2009 raggiunga tra 1,5 e 2 trillioni di dollari. Egli dubita che i risparmi privati negli Usa e gli acquisti di titoli del Tesoro da parte dei paesi stranieri sia sufficiente a soddisfare il bisogno di liquidità del governo. Toccherebbe quindi alla Fed intervenire.
I grafici della curva dei tassi e dello spread sui credit default swaps sul debito del Tesoro Usa mostrano una situazione drammatica. Sia il differenziale dei rendimenti sia il costo di assicurazione sono cresciuti rapidamente, contemporaneamente, da settembre. Il mese in cui si è verificato il primo salvataggio di Fannie Mae, Freddie Mac e AIG ed il fallimento di Lemhan Brothers. Le due linee hanno continuato la loro ascesa parallela durante l'approvazione della TARP il mese scorso, mentre si rendeva evidente un rallentamento della crescita economica globale.
La curva dei tassi ed i prezzi dei credit default swaps indicano entrambi che i mercati stanno esigendo un maggior costo allo Zio Sam per ottenere denaro a lungo termine, e non è in conseguenza a delle previsioni di ripresa economica, il che ridurrebbe, non aumenterebbe, il costo di assicurazione contro il default del Tesoro.
Tutto ciò indica il fatto che la linea di credito USA ha i suoi limiti.
Can Uncle Sam Keep Paying the Piper?
Sempre più spesso l'attenzione degli operatori economici e finanziari viene rivolta verso il VIX, l'indice che misura la volatilità del mercato azionario americano.
Una descrizione interessante, seppur breve, dei meccanismi di calcolo e delle particolarità di questo indice è oggetto di uno studio appena pubblicato dal titolo: "Understanding VIX".
Viene soprattutto messa in evidenza la relazione tra l'andamento dell'indice VIX e l'andamento dell'indice di borsa S&P 500, sottolineando il fatto che nonostante il fatto che ad oggi il VIX si trovi su livelli abnormali ripetto al suo intervallo medio, normalmente tra 10 e 40 circa, già altre volte in passato esso ha superato questo intervallo superando addirittura i 100 durante la crisi del 1987.
la ricerca può essere scaricata a questo link: Understanding VIX
Peggiorano ancora le vendite al dettaglio che nel mese di ottobre scendono del 2,8% rispetto al mese precedente e del 4,1% rispetto all'anno precedente.
Il calo è dovuto in larga parte alla discesa del prezzo della benzina che ha comportato una riduzione del 12,7% rispetto al mese precedente degli introiti riguardanti questo settore; prezzo che è sceso ulteriormente in questo mese e che, come si nota dal grafico, potrebbe portare ad un ulteriore riduzione delle vendite del 20% nei prossimi mesi.
Tenendo presente che il settore incide all'incirca per il 10% sul totale delle vendite questo porterebbe ad una riduzione delle vendite al dettaglio di un ulteriore 2%, che difficilmente potrà essere riassorbita dagli altri settori.
Nel novembre 2002, appena eletto come governatore del Federal Reserve System, Ben Bernanke tenne un discorso al National Economists Club dal titolo "Deflazione: assicurandoci che non accada qui". "Fortunatamente", concluse, "per il futuro prevedibile, le probabilità di una seria deflazione negli Stati Uniti appare alquanto remota". Il discorso di Bernanke è stato spesso citato da coloro i quali pensano che una protratta deflazione in stile Giappone non possa semplicemente capitare negli USA. Quanto valgono le argomentazioni di Bernanke del 2002 alla luce degli eventi recenti? Bernanke enunciò due tipi di argomentazioni nel suo discorso. Primo, egli enfatizzò alcune differenze tra gli Stati Uniti ed il Giappone. Secondo, fece una lista di numerosi strumenti, da quelli convenzionali a quelli più aggressivi, che la Fed avrebbe potuto usare per fermare la deflazione prima che iniziasse, oppure contrastarla nel malaugurato caso si verificasse. Vediamo alcuni di questi punti.
Perchè gli Stati Uniti sono diversi
Bernanke inizia il discorso con l'osservazione che "Nel corso degli anni, l'economia statunitense ha mostrato una abilità particolare nell'assorbire shock di ogni genere e nel continuare a crescere... Un fattore protettivo particolarmente importante nello scenario odierno è la forza del nostro sistema finanziario: nonostante gli shock negativi degli anni passati (2001-2001), il nostro sistema bancario rimane in salute e ben regolato, ed i bilanci delle imprese e delle famiglie sono nella maggioranza dei casi in ordine". Questo era allora, questo è ora. Bernanke, sicuramente, aveva ragione nel dare importanza allo stato di salute dei bilanci nel settore finanziario, commerciale e delle famiglie. Egli cita Irving Fisher, che mostrò, già nel 1933, "le potenziali connessioni tra crisi finanziarie violente, che portano a "svendite" di attivi e diminuzioni dei prezzi degli attivi stessi, con un generale crollo della domanda aggregata e del livello dei prezzi". Affinchè la politica monetaria svolga il suo lavoro, ci deve essere un meccanismo di trasmissione collaudato tra gli obiettivi operativi che la Fed può direttamente controllare, principalmente i tassi di interesse a breve termine e le riserve bancarie, e l'offerta di moneta, di credito, fino alla domanda aggregata. Quando il valore degli attivi è in declino ed i bilanci hanno una leva finanziaria troppo elevata, il meccaniscmo di trasmissioni si rompe. La Fed immette liquidità al sistema bancario, ma le banche rimangono riluttanti a prestare in quanto non c'è una adeguata quantità di collaterali per garantire il livello di credito necessario. Anche quando le banche sarebbero intenzionate a prestare, le imprese e le famiglie sono restie nel contrarre debiti in quanto non hanno una certezza relativa ai flussi di cassa dalle vendite e dai salari. Siccome tutti cumulano liquidità, le azioni della banca centrale risultano di scarso effetto. I dati del Giappone alla fine del 1990 mostrano chiaramente tutto ciò. La base monetaria, composta dalle riserve bancarie e dalla valuta, aumenta. Facendo questo, il moltiplicatore monetario diminuisce, perciò la quantità di moneta aumenta solo leggermente. E, siccome il settore non bancario accumula liquidità, la velocità diminuisce, cosicchè diminuisce anche il prodotto interno lordo nominale.
L'arsenale anti-deflazione
Nonostante questo, sostiene Bernanke, la fed ha quasi una forza illimitata e se la usa l'economia reale deve reagire prima o poi. Egli elenca una seria di politiche che iniziano dalle operazioni convenzionali di mercato aperto sulle obbligazioni del tesoro a breve termine, ad acquisti di obbligazioni del tesoro a lungo termine, passando poi ad operazioni indirette su obbligazioni private attraverso swaps o in cooperazione con il Tesoro. Culminando con lo "spargimento dall'elicottero" di denaro che viene eseguito attraverso una politica fiscale espansionistica, sostenuta da acquisti di obbligazioni governative da parte della banca centrale per impedire al debito crescente di spingere in alto i tassi. La lista delle armi potenziali deve avere impressionato i presenti al discorso nel 2002. Oggi, la cosa sorprendente e quanto avanti lungo quella lista si sia già spinta la Fed. Sotto la guida di Bernanke, la Fed ha iniziato a diminuire aggressivamente i tassi di interesse nella metà del 2007, poche settimane dopo che l'indice dei prezzi immobiliari nazionale oltrepassò la linea tra aumenti e diminuzioni. Fedele allo spirito del discorso del 2002, appena il tasso di riferimento scese, il divario tra esso e il tasso di sconto, al quale le banche prendono in prestito dalla Fed, diminuì da 50 punti base a 25 punti base. Con la diminuzione delle restrizioni amministrative sul prestito, la Fed quasi supplicava alle banche di prestare le riserve. Ma non era ancora abbastanza. La Fed si mosse rapidamente oltre nella lista, allentando i termini sulle proprie operazioni di prestatore di ultima istanza, aumentando la gamma e diminuendo la qualità dei collaterali accettati, oltrepassando le banche commerciali nel profondo del settore finanziario. E' stato difficile tenersi aggiornati sulle nuove terminologie, Term Auction Facility, prestiti a imprese non bancarie della Sezione 13(3), Primary Dealer Credit Facility, Term Securities Lending Facility (TSLF), fino alle aste di opzioni sui prestiti TSLF. La Fed non può certo essere accusata di essere rimasta a braccia conserte, ma non era ancora sufficiente. Divenne quindi più difficile muoversi oltre nella lista del 2002. C'erano ancora un paio di armi potenti ancora da usare, ma nessuno era disposto a premere il grilletto. Una delle armi sarebbero state le operazioni sul mercato delle valute. Bernanke fece notare il notevole impatto della decisione di Roosevelt nel 1933 di portare il paese fuori dal gold standard, il che sconfisse la deflazione nel giro di mesi. Ma già nel 2002 Bernanke aveva ammesso che questa era un area che la Fed avrebbe dovuto trattare con molta cautela. Non era solamente questione che la politica monetaria internazionale, negli Stati Uniti, riguarda il Tesoro. Più importante era il rischio di conseguenza inattese. Se era giusto essere cauti nel 2002 nell'indebolire il dollaro per stimolare la domanda domestica, è doppiamente giusto essere cauti oggi, quando il dollaro è già debole in relazione all'euro, e quando anche un'intenzione di intervento della Fed potrebbe far scattare una corsa a disinvestire i propri attivi in dollari da parte delle banche centrali straniere. Perciò quest'arma rimane inutilizzata. Comunque, c'era ancora l'arma della politica fiscale. "Un taglio delle tasse di ampia portata", dichiarò Bernanke nel suo discorso del 2002, "accompagnato da un programma di acquisti sul mercato aperto per alleggerire la tendenza ad aumentare dei tassi di interesse, potrebbe certamente essere da stimolo ai consumi e quindi ai prezzi". Bernanke vide la possibilità dell'arma fiscale come una delle differenze chiave tra il Giappone e gli Stati Uniti. "L'economia giapponese incontra alcuni
limiti significativi alla crescita in presenza di deflazione" egli scrisse, "inclusi grossi problemi finanziari nel settore bancario e delle imprese ed l'imponenza del debito pubblico. E' plausibile che i problemi del settore finanziario privato abbiano cambiato gli effetti delle politiche monetarie tentate in Giappone, anche se l'imponenza del debito pubblico ha reso i dirigenti giapponesi più restii nell'uso di politiche fiscali aggressive". Sfortunatamente, anche se le finanze pubbliche degli Stati Uniti erano in una situazione migliore del Giappone nel 2002, il paragone non è più a favore degli Stati Uniti. Il primo grafico mostra l'andamento del surplus o deficit pubblico americano e quello del Giappone. I dati relativi agli USA sono riportati indietro di dieci anni, cosicchè i dati relativi al 2008 si sovrappongono a quelli del Giappone nel 1998. La similitudine tra i due andamenti è sorprendente. La stessa cosa vale per il secondo grafico, il quale mostra l'andamento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo.
L'arma segreta
Più uno analizza la situazione, più diventa chiaro che le protezioni che rendevano la deflazione un pericolo remoto nel 2002 sono state da quel momento erose. E' vero che i sondaggi sulle aspettative di inflazione per gli Stati Uniti sono al momento ancora positivi, ma in Giappone essi rimasero in positivo fino alla fine del 1999, quando la deflazione era già da molto iniziata. La deflazione sembra avere una predisposizione ad insinuarsi senza essere notata dalle sue vittime. Forse l'HR 1424, il piano di emergenza per la stabilità economica del 2008, ci salverà. Anche se Bernanke, nel 2002, non vide il bisogno di una operazione così imponente, il piano di salvataggio (TARP) da 700 miliardi di dollari è nello spirito del suo discorso, nel quale egli raccomandava un intervento rapido e deciso prima che la deflazione avesse inizio. Lo stesso vale per il recente intervento della Fed relativo alle commercial papers. Oltre al TARP, c'è un arma segreta nascosta nella sezione 128 dell'HR 1424 che potrebbe risultare molto utile. Trascurata da tutti tranne gli specialisti, e senza mai menzionare la Federal Reserve o le banche o i tassi di interesse, la sezione 128 concede alla Fed l'autorità immediata per poter pagare gli interessi sulle riserve depositate dalle banche commerciali. In effetti, un tasso di interesse a piacere. Uno studio recente di Todd Keister, Antoine Martin e James McAndrews della Fed di New York rivela il perchè questo interesse e potenzialmente importante. Se la Fed è autorizzata a pagare gli interessi sulle riserve, può immettere quantità illimitate di riserve nel sistema bancario senza dover abbassare i tassi di interesse fino a raggiungere lo zero. Questa politica è chiamata "quantitative easing". Come sperimentato in Giappone, ha dei risultati variabili, ma rimane comunque un'arma in più contro la deflazione. La Fed non ha sprecato tempo facendo uso di questa sua nuova autorità ed annunciando che avrebbe iniziato a pagare gli interessi sulle riserve immediatamente. Quando il tutto sarà attuato, dubito che l'economia americana andrà incontro ad una prolungata deflazione. Ma la possibilità non è più così remota come era in passato. Esiste per lo meno il dato confortante che abbiamo un governatore della Federal Reserve che conosce i rischi, le armi disponibili, ha già provato la sua prontezza nell'uso di molti degli strumenti elencati nel discorso del 2002, ed è inoltre preparato ad adoperarne di nuovi in caso di necessità.
Deflation: are we still sure "it" cannot happen here?
Ancora in negativo i dati sull'occupazione che hanno visto il tasso di disoccupazione salire al 6,5%, livello che non si raggiungeva dal lontano marzo 1994 e che verrà probabilmente superato nei prossimi mesi.
La situazione risulta ancora più grave se si analizzano i dati riguardanti la durata della disoccupazione.
Come mostrano i grafici il numero dei disoccupati viene suddiviso in base alla durata di disoccupazione in quattro componenti, nelle tre componenti a maggior durata il dato odierno è addirittura sui livelli della recessione dei primi anni '80.
Considerando il fatto che anche la componente relativa alle prime cinque settimane di disoccupazione è in continua crescita difficilmente ci saranno dei miglioramenti a breve.
Il grafico a fianco evidenzia il rapporto tra il debito pubblico ed il prodotto interno lordo americano, un rapporto che sta crescendo a ritmi record ed ha toccato ultimamente livelli mai raggiunti in precedenza.
Le aspettative sono al momento per un ulteriore aumento dovuto al rallentamento dei consumi privati, il quale costringe al ricorso alla spesa pubblica e/o sgravi fiscali e quindi ad un aggravio per quanto riguarda il debito pubblico.
D'altra parte il pericolo di una depressione prolungata e di una deflazione dei prezzi potrebbe diminuire contemporaneamente il prodotto interno lordo, innescando un processo che rischierebbe di portare il rapporto fuori controllo.
Dopo circa tre mesi di crescita costante la settimana scorsa il rendimento delle obbligazioni del tesoro indicizzate all'inflazione a cinque e sette anni hanno bruscamente superato quello delle obbligazioni del tesoro a tasso fisso.
Come si nota dal grafico la differenza tra i due tipi di obbligazioni è da sempre stata a favore dei titoli a tasso fisso in quanto quelli indicizzati scontavano un tasso di inflazione implicita positivo.
A partire da circa una decina di giorni si è quindi verificato un cambiamento quasi epocale riguardante una variabile, l'inflazione, tra le più importanti dell'intero sistema economico e finanziario.
Le nuove arrivate "aspettative di deflazione" si estendono ai titoli a cinque e sette anni, mentre rimane per il momento ancora in positivo la differenza nei titoli a dieci anni; ciò fa supporre che gli operatori prevedano al momento che la crisi non si risolverà nel breve periodo ma possa invece perdurare per molti anni.
E' cresciuto nel mese di settembre dello 0.2% il reddito pro-capite disponibile mentre continua la discesa dei consumi, in calo dello 0.3%.
Il dato è molto significativo in quanto, dopo mesi, non è inflenzato dallo stimolo fiscale approvato in primavera e ci permette quindi di trarre alcune conclusioni sull'intervento fiscale del governo.
Come avevamo ipotizzato mesi fa (vedi qui e qui) il provvedimento non è riuscito affatto nell'intento di stimolare i consumi che come mostra il grafico sono invece scesi negli ultimi mesi, mentre ha avuto come unico risultato quello di aumentare il risparmio.
Tutto ciò non era difficile da prevedere: in una situazione di indebitamento molto alto delle famiglie americane e di scarsa fiducia in una ripresa economica è naturale che i benefici fiscali siano stati utilizzati per diminuire l'indebitamento anzichè per aumentare ulteriormente i consumi.
Data la situazione ancor peggiore della fiducia dei consumatori odierna rimangono molti dubbi sulle proposte in america e non, riguardanti ulteriori interventi per il rilancio dei consumi attraverso la leva fiscale.
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