Un'analisi più approfondita dell'indice Ofheo ha rafforzato la nostra convinzione che nonostante la sorpresa dell'aumento dei prezzi in California la discesa dell'indice non sia ancora terminata e che dopo una fase di assestamento potrebbe riprendere ulteriormente.

I dati settoriali dei vari distretti portano in evidenza che i primi due distretti a registrare i massimi in passato, New England nel novembre 2005 ed East North Central nel giugno 2006, sono ora quelli che hanno l'indice su valori più lontani nel tempo, ai livelli del novembre 2004.

Il distretto Pacifico nonostante il calo del 14,5% dell'ultimo anno rimane ancora sui livelli di aprile 2005, mentre l'indice aggregato nazionale ancora sui livelli del novembre 2005.

Questo potrebbe voler significare che nonostante il dato positivo californiano l'indice nazionale potrebbe ancora rimanere in calo nei mesi a venire, la misura di questo calo potrebbe quindi variare dal 5% al 10% nel migliore dei casi o addirittura peggiorare ulteriormente.

Peggiora ulteriormente l'indice dei prezzi immobiliari Ofheo che a maggio ha fatto registrare un ulteriore calo dello 0,3% rispetto ad aprile e del 4,8% rispetto a maggio 2007, portandosi così sui livelli del novembre 2005.

La sorpresa è però venuta dall'analisi dei dati per settore geografico che ha visto in aumento i prezzi relativi alla divisione Pacifico, comprendente la California, dello 0,3% rispetto ad aprile; il primo aumento dal marzo 2007.

Il dato è stato visto come un possibile segnale che il mercato immobiliare possa avere trovato una base sulla quale ripartire; a nostro modo di vedere però il quadro negativo generale rimane sostanzialmente invariato in quanto anche nel caso i prezzi in California fermassero la discesa, il che non è affatto scontato, rimarrebbero comunque altre zone sulle quali i prezzi dovrebbero ancora scendere, su tutte la divisione Sud Atlantico, alla quale appartiene la Florida, nella quale i prezzi nell'ultimo anno sono scesi solamente del 5,8% rispetto al 14,5% della divisione Pacifico.

Due grossi fondi pensione per dipendenti pubblici hanno chiuso l'anno fiscale il 30 giugno in perdita.

L'inchiostro rosso del Fondo Pensione del Pubblico Impiego della California (CalPERS) e del Fondo Pensione degli Insegnanti Statali della California (CalSTRS) non è stata una sorpresa, data la discesa del mercato azionario nell'ultimo anno. (Nonostante la diversificazione attuata dai fondi, le azioni occupano comunque più della metà del portafoglio.)

Ma più anni come questo significherebbero davvero una brutta notizia, perchè, caro amico contribuente californiano, indovina chi rischia di non riuscire a pagare la bolletta se i fondi pensione non guadagnano abbastanza da pagare la pensione promessa ai dipendenti pubblici?

CalPERS ha riportato una perdita del 2,4% nell'anno fiscale terminato il 30 giugno su 239 billioni di dollari del fondo. CalSTRS una perdita del 3,7% su 162 billioni di dollari.

I risultati sono preliminari, e le perdite finali potrebbero essere superiori in quanto entrambi i fondi misurano i propri investimenti immobiliari ed in private-equity solo al 31 marzo quando avviene il calcolo del rendimento totale del portafoglio. (E' necessario del tempo per raccogliere i dati finali trimestrali per questo.)

I risultati inoltre sono al lordo delle spese del fondo. Nel caso del fondo CalPERS esse incidono per lo 0,3% sul rendimento totale dell'anno fiscale passato.

Il portafoglio di CalPERS ha avuto un rendimento migliore di quello di CalSTRS in parte dovuto al fatto che CalPERS ha investito una piccola fetta del portafoglio sulle materie prime, giusto in tempo per cogliere l'ultima salita dei prezzi, petrolio incluso. La parte del portafoglio legata all'inflazione, che include le materie prime, è cresciuta del 22,9% nel periodo in questione.

Al contrario, CalPERS ha stimato una perdita del 12% nel suo portafoglio azionario Usa negli ultimi 12 mesi. Il portafoglio azionario di CalSTRS ha registrato una perdita del 13,4%. L'indice azionario Russell 3000 è sceso del 12,6% nello stesso periodo.

Come si sono comportati con gli altri investimenti:

-- CalSTRS ha fatto meglio negli investimenti in valute straniere perdendo solo il 5,8% contro il 7,8% di CalPERS

-- Il rendimento del portafoglio obbligazionario è stato del 7,7% per CalPERS e del 6,1% per CalSTRS

-- I fondi hanno continuato a guadagnare abbastanza bene sugli investimenti immobiliari, anche se CalSTRS si è comportato molto meglio in questo settore riportando un guadagno del 11,8% contro il 8,1% di CalPERS

-- Gli utili provenienti dal private-equity, quali investimenti in aziende privatizzate tramite leveraged buyouts, sono stati del 19,6% per CalPERS e del 11,6% per CalSTRS

CalPERS ha dichiarato che la perdita "non avrà un impatto immediato sul bilancio dei dipendenti californiani l'anno prossimo nè sulla capacità del fondo pensione di tenere fede ai pagamenti". Questo in quanto il fondo calcola le contribuzioni necessarie sulla media dei rendimenti in un periodo di 15 anni.

Calcolato negli ultimi cinque anni, il rendimento medio di CalPERS è stato dell'11,4%, molto al di sopra del 7,75% necessario per mantenere fede ai pagamenti dei lavoratori pubblici. Il rendimento medio degli ultimi cinque anni di CalSTRS è stato dell'11,5%, in confronto all'obiettivo dell'8%.

Per la propria salute, i contribuenti della California faranno bene a sperare che i bei tempi ricomincino presto.

http://latimesblogs.latimes.com/money_co/2008/07/californias-two.html

Un altro indicatore che sta entrando in territorio negativo è l'indice che rileva l'aumento o la diminuizione nel numero degli occupati in Usa.

Come si nota dal grafico ogni qual volta esso diventa negativo corrisponde una recessione economica.

Da dicembre 2007 siamo su livelli prossimi allo zero, sarà quindi molto importante seguire l'andamento futuro dell'indicatore, nel caso si spostasse decisamente in territorio negativo potrebbe segnalare un'imminente recessione.

Un indicatore molto importante per valutare la crisi immobiliare è il rapporto tra prezzi delle case e affitti.

Questo rapporto, dopo essere stato sostanzialmente stabile per una quindicina di anni dal 1983 al 1997, ha iniziato a crescere lentamente per poi aumentare di circa il 50% in soli quattro anni dal 2002 al 2006.

Come mostra il grafico siamo ancora lontani dai livelli storici dell'indice pre-1997, come pure dai livelli raggiunti prima del 2002.

Tenendo conto dei ritmi di discesa dei prezzi avuti nell'ultimo anno, l'indice dovrebbe tornare sui livelli pre-1997 intorno alla seconda metà del 2009 con i valori immobiliari che potrebbero diminuire in totale del 20% circa.

Considerando che per ora hanno perso mediamente l'11% starebbe a significare che la corsa al ribasso dei prezzi potrebbe ancora continuare.

Il grafico a fianco riporta i dati dei prestiti bancari dal 1948 ad ora, la media della variazione percentuale degli ultimi tre mesi è stata raramente negativa e comunque mai in maniera duratura.

Con i dati di giugno l'indice è ora in territorio negativo, dello 0,27%, per la prima volta dall'inizio della crisi finanziaria, sarà quindi utile monitorare le variazioni nei prossimi mesi per verificare se la crisi attuale verrà superata com'è stato finora nelle precedenti crisi.

Il valore medio delle automobili usate è crollato più del 14% durante l'anno scorso, mostrano gli ultimi dati industriali. Gli acquirenti stanno proponendo ai commercianti offerte ridicole per le auto usate di prima fascia, cercando di approfittare di quello che nell'industria definiscono come il mercato più debole dall'ultima recessione. Gli analisti sostengono che i commercianti, nel tentativo di evitare di essere travolti dalla svalutazione del loro parco macchine, sono tentati sempre più ad accettare offerte basse.

Mark Norman, analista di CAP, che compila le statistiche, ha detto che giugno, normalmente un mese positivo, è stato il mese più difficile dall'inizio degli anni '90. I commercianti di auto 4x4, come i Range Rover, trattano i potenziali acquirenti che entrano nei loro autosaloni "come dei re", dichiara Mark Norman. "Vi accoglieranno con il tappeto rosso". Un'auto usata dal costo di 10000£ nel luglio 2007 ora, a parità di anni e chilometraggio, vale 8570£, un calo del 14,3%. Il costo crescente della benzina ha colpito fortemente la domanda di auto 4x4, ciò significa che i consumatori che percorrono pochi chilometri possono trarre vantaggio dal crollo dei prezzi senza risentire molto del prezzo della benzina alla pompa.

Bill Warren, proprietario di una concessionaria Bmw nel Buckinghamshire, dichiara di aver "diminuito ma non drasticamente" i prezzi ma sta ricevendo non più di quattro clienti alla settimana. "L'anno scorso ne avevamo molti di più". I clienti stanno facendo pressioni per abbassare i prezzi. "Stiamo sentendo commenti come: perchè è così caro? oppure Potete fare un grande sconto?. La gente offre anche 600£ in meno del prezzo iniziale."

Matthew Gooda, direttore vendite di Arun, un concessionario indipendente Jaguar nel Sussex, conferma le pressioni sui prezzi. "Alcuni clienti telefonano facendo offerte ridicole. I giorni in cui i clienti entravano e firmavano assegni sono finiti". Arun sta offrendo modelli come una XK8 a 10000£. Uno degli ultimi affari al ribasso è stato un V8 usato tre anni che apparteneva a Mervyn King, governatore della Banca d'Inghilterra. "Stiamo avendo minori profitti sulle nostre vendite perchè possiamo uscire noi stessi e comprare le stesse auto al 20 o 30% in meno" ha detto Gooda.

Le svendite non sono confinate al mercato dell'usato. Le auto nuove stanno diminuendo di prezzo, compresi i nuovi modelli a consumo limitato di carburante. "Su alcune delle piccole Vauxhall Corsa, o automobili di quel tipo, si possono fare grossi affari" dichiara Sue Robinson, direttore della National Franchised Dealers Association.

http://www.ft.com/cms/s/0/ea7adec6-4f6c-11dd-b050-000077b07658.html

E' sempre più difficile per le grandi e medie imprese ricorrere al credito bancario sotto forma di prestiti e mutui.

I costi di finanziamento sono infatti ai massimi da quando vengono ufficialmente rilevati, ovvero dal 1990; mentre i requisiti richiesti dalle banche per l'erogazione sono vicini ai massimi del 2001.

Con questi presupposti è probabile che la situazione riguardante la crisi dei mercati finanziari nei prossimi mesi non si riprenda, potrebbe invece peggiorare in quanto la difficoltà ad ottenere credito potrebbe estendersi alle piccole imprese ed in ultimo ai consumatori privati.

A confermare il ruolo deflazionistico che la globalizzazione ha avuto negli anni passati ed il cambiamento in atto sin dal 2002 ho trovato un grafico dove sono riportati i prezzi all'esportazione dei paesi asiatici (esclusa Cina) e della Cina.

Se il trend attuale dovesse continuare risulterà sempre più difficile per le banche centrali occidentali decidere se attuare una politica monetaria restrittiva e combattere l'inflazione oppure abbassare i tassi per rilanciare la crescita andando incontro ad un aumento dell'inflazione.

Probabilmente fra qualche mese quando questo interrogativo si riproporrà assisteremo ad un ulteriore fase di divergenza nelle politiche monetarie della Federal Reserve e della Bce.

E' ormai evidente a molti che il trend al ribasso delle borse mondiali non durerà pochi mesi anzi potrà durare anni.

In effetti se al posto di guardare il valore nominale dell'indice Dow Jones ci si riferisce al suo valore reale, per esempio al suo valore in oro come da grafico, si nota che il trend ribassista è ormai in atto sin dal 1999.

Nel corso degli anni tra i due indici, quello nominale e quello reale, vi sono state delle divergenge di direzione ma sempre e solamente momentanee; in quanto prima o poi i valori nominali dell'economia devono per forza confrontarsi con la realtà.

Ciò fa presupporre che il declino delle borse, in particolare quella americana, sia soltanto all'inizio della correzione che dovrebbe riportarne il valore nominale in linea con quello reale.

Anche se molte banche centrali nell'ultimo periodo stanno attuando una politica monetaria restrittiva siamo ancora lontani da una politica monetaria che possa fermare l'inflazione e di conseguenza i prezzi soprattutto delle materie prime.

Gli interessi reali infatti non sono negativi solamente negli Usa, ma come si nota dal grafico in molti paesi asiatici, tra i quali la Cina.

Il fatto poi che questo colpisca paesi dai quali abbiamo importato per un decennio merci a basso costo, il che ha avuto un effeto disinflazionistico, pone ulteriori interrogativi sul futuro di quelle attività che hanno tratto vantaggio da questo finora e che in futuro potranno trovarsi in gravi difficoltà.

Non che voglia dimostrare una correlazione stringente tra il prezzo del petrolio e la borsa, anzi penso sostanzialmente che essi siano influenzati da diversi fattori che li relazionano a volte direttamente, altre volte inversamente.

Nell'ultima settimana sono evidentemente preponderanti quei fattori che agiscono in maniera inversamente proporzionale sul petrolio e sulla borsa.

Sicuramente sarà importante nel breve termine tenere a mente questa relazione.

il grafico è tratto da Bespoke





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