Il grafico a fianco riporta la variazione percentuale della base monetaria, salita nelle ultime due settimane dell'8,70%, l'aumento maggiore mai registrato e di molto superiore anche al 5,20% fatto registrare nei giorni seguenti all'attentato dell'11 settembre 2001.

Potrebbe essere questa la spiegazione all'aumento dei prezzi dei treasury ed al relativo abbattimento dei tassi a breve americani.

Rimane quindi da verificare nelle prossime settimane l'impatto di un aumento così sostanzioso sugli aggregati monetari maggiori e di conseguenza sulle prospettive di inflazione, tenendo conto delle spinte deflazionistiche che arrivano invece dal mercato del credito.

Il grafico a fianco riporta l'andamento dell'indice azionario usa S&P 500 negli ultimi tre mesi, comparandolo all'andamento di tre importanti indici settoriali, quello immobiliare HGX, quello bancario BKX e quello riguardante la finanza relativa ai mutui MFX.

Contrariamente a quanto si possa pensare il settore immobiliare e bancario hanno in realtà performato meglio dell'indice generale, e pure l'indice relativo ai mutui ha comunque un rendimento in linea con quello dell'S&P 500.

Sempre più difficile la situazione del mercato del lavoro negli Usa.

Come si può osservare nel primo grafico continua ad aumentare il numero dei disoccupati mentre allo stesso tempo diminuisce il numero dei nuovi lavori disponibili.

Il rapporto delle due variabili (nel secondo grafico) indica il numero di lavoratori medi per ogni nuovo lavoro offerto che al momento è di 2,6 contro il minimo di 1,6 lavoratori raggiunto nel dicembre 2006.

Una situazione che ripropone ciò che avvenne durante la recessione del 2001, partendo però da livelli peggiori, in quel caso infatti si partiva da un livello di 1,3 lavoratori ogni nuovo lavoro offerto.

Ciò rafforza la visione che il ciclo espansivo economico durato quasi un secolo fino al 2000 abbia da quel momento in poi invertito la rotta.

Di seguito riportiamo un articolo scritto dall'ex presidente della FDIC, l'Associazione Federale Assicurativa sui Depositi, William M. Isaac e pubblicato recentemente sull'American Banker.

[Prologo: La FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) sta discutendo la possibilità di aumentare il premio di assicurazione sui depositi al fine di riportare il "fondo" di assicurazione sui depositi all'1,15% dei depositi assicurati o più. Scrissi un articolo su questo giornale riguardante questo argomento l'ultima volta che fu discusso, circa diciassette anni fa. Credo che l'articolo mantenga il suo interesse anche nel dibattito odierno. Quindi eccolo a voi ... con qualche piccola variazione ed un postscritto]:

Quando diventai presidente della FDIC nel 1981, il suo rendiconto finanziario riportava un attivo presso il Tesoro di circa 11 billioni di dollari. Pensai che sarebbe stata una vera gioia vedere tutto quel denaro, perciò chiamai al telefono il Segretario del Tesoro Don Regan:

Isaac: Don, vorrei venire lì a dare un'occhiata al denaro.
Regan: Quale denaro?
Isaac: Lo sai ... gli 11 billioni di dollari che la FDIC ha in custodia presso il Tesoro.
Regan: Uh, beh vediamo Bill, ah, c'è un piccolo problema.
Isaac: Lo so che sei impegnato. Non è necessario che io venga subito.
Regan: Beh ... non è una questione di tempo ... Non so come spiegartelo, ma non abbiamo quel denaro.
Isaac: Eh si ... ha ha ha.
Regan: No, veramente. Le banche hanno versato il denaro alla FDIC, la FDIC ha girato i soldi al Tesoro, ed il Tesoro li ha spesi in missili, mense scolastiche, acquedotti, e così via. I soldi non ci sono più.
Isaac: Ma c'è scritto qui sul rendiconto finanziario che abbiamo 11 billioni di dollari presso il Tesoro.
Regan: In un certo senso li avete. Vedi, dobbiamo quel denaro alla FDIC, e paghiamo degli interessi sul prestito.
Isaac: So che può sembrare molto improbabile, ma cosa succederebbe se noi avessimo bisogno di qualche billione in caso qualche banca fallisse?
Regan: E' facile, li chiederemmo in prestito al mercato. E voi avreste il denaro il giorno stesso.
Isaac: Vediamo se ho ben capito. Il denaro che le banche hanno pensato fosse stato salvaguardato negli ultimi cinquant'anni, una specie di risparmio per i giorni di pioggia, non c'è più. Se arrivasse un temporale e noi avessimo bisogno del denaro, il Tesoro dovrebbe andare sul mercato a farselo prestare. Giusto?
Regan: Si giusto.
Isaac: Solo un'ultima cosa, dato che ci siamo. Perchè continuiamo a fingere che esista un fondo?
Regan: Mi spiace, Bill, ma ho il Presidente sull'altra linea. Ti richiamerò presto.

Tempo fa esisteva un fondo della FDIC. Durante l'Amministrazione Johnson, qualcuno ebbe la brillante idea di mettere il fondo a disposizione del bilancio federale al fine di ridurre il deficit. Questo avvenne nei bei giorni andati quando il fondo era sempre in attivo. Mettendo il fondo a bilancio ridusse i deficit prodotti dalla spesa per i programmi Great Society e per la guerra in Vietnam.

La verità è che non esiste nessun fondo della FDIC. Tutto quello di cui la FDIC avrebbe bisogno in caso di fallimento di qualche banca dovrebbe essere preso in prestito dal Tesoro, andando ad aggravare il deficit federale. L'ammontare totale della spesa corrente è a carico del bilancio federale anche se si prevede un recupero nel futuro, in quanto i titoli problematici sono raccolti dalla FDIC. Questo sia che il saldo nominale della FDIC presso il Tesoro sia positivo che negativo.

La verità è che i premi pagati dalle banche alla FDIC sono una tassa per ricompensare il governo per il fatto di dare fiducia e credito ai depositi bancari. Il saldo nominale della FDIC presso il Tesoro è irrilevante, salvo che, nel tempo, non si voglia che le banche paghino al governo più di quanto la garanzia sui depositi è costata al governo stesso.

Le parole chiave sono "nel tempo". Non importa se il saldo nominale della FDIC presso il Tesoro è negativo in qualsiasi punto. Nel lungo periodo, deve essere positivo. Questo mi porta ad interrogarmi sul motivo per cui i funzionari di Washington sembrano così preoccupati di imporre alle banche degli aumenti di imposta in un momento nel quale l'industria e la nazione difficilmente può sopportarli. Non conosco nessun economista responsabile che consiglierebbe un aumento di imposta nel bel mezzo di una recessione. Un aumento di imposta per le banche è ancor peggiore di un aumento di imposta generalizzato.

Quando aumentiamo le tasse alle singole persone, un dollaro raccolto dal governo è un dollaro che non viene investito o speso nel settore privato. Ma per ogni dollaro che le banche versano alla FDIC, noi riduciamo di circa dieci dollari l'ammontare dei prestiti che una banca può effettuare. Non capisco come si possa volere questo in un momento nel quale stiamo cercando di incoraggiare le banche ad aumentare i loro prestiti al fine di stimolare l'economia.

Il premio di assicurazione dei depositi sulle banche è triplicato dal 1985, e ci sono voci di un suo ulteriore sostanziale aumento nel 1992. Vengono in mente le azione della Federal Reserve negli anni '30 per ridurre l'offerta di moneta e proteggere il gold standard, le quali aiutarono a trasformare una seria recessione nella Grande Depressione. Il paese sta pagando un caro prezzo per mantenere il mito di un fondo FDIC. Non peggioriamolo.

[Postscritto: La regolamentazione bancaria dovrebbe sempre tendere ad essere anticiclica, non prociclica. E le conseguenze le stiamo pagando oggi.

La valutazione ai prezzi correnti, imposta dal Financial Accounting Standards Board (FASB) agli inizi degli anni '90, è prociclica e porta cicli espansivo-restrittivo esagerati attraverso la sua tendenza a sopravvalutare gli attivi quando i mercati sono forti e sottovalutarli quando i mercati sono deboli o quasi inesistenti. I problemi odierni sono stati aggravati significativamente dall'eccessive riduzioni riportate a bilancio a causa della valutazione ai prezzi correnti.

La Securities and Exchange Commission (SEC) prese provvedimenti contro SunTrust Bank nel 1999, accusandola di manipolare gli utili mettendo a bilancio quelle che la SEC considerava delle eccessive riserve contro le perdite sui prestiti in un periodo nel quale SunTrust non soffriva di perdite su prestiti significative. Non c'è alcun dubbio a mio parere che l'azione della SEC ebbe un effetto negativo sulle riserve delle banche durante i bei tempi sul finire degli anni '90 ed i primi del duemila. In aggiunta, l'aumento degli utili derivante dal mancato aumento delle riserve ha permesso alle banche di spendere più capitale e/o espandere il loro bilancio. L'uno-due della FASB e della SEC hanno inflitto un grosso danno all'odierno ciclo creditizio.

I modelli adottati nel nuovo accordo di Basilea sono anch'essi prociclici. Gli accordi portano a capitali richiesti minimi quando siamo in un periodo di perdite sui prestiti basse, quando vorremmo invece vedere le banche restringere relativamente i prestiti. E richiedono più capitale quando si attraversano momenti difficili, quando vorremmo che le banche prestassero invece più denaro. Si può solo sperare che l'approccio del trattato di Basilea II nel fissare i criteri da rispettare relativamente al capitale venga ripensato.

L'assicurazione sui depositi appartiene alla stessa categoria. Un livello ragionevole di premio d'assicurazione sui depositi dovrebbe essere pagato in entrambe le fasi cicliche, permettendo al finto fondo di "raggiungere" un livello che gli permetta di rimanere positivo durante gli inevitabili momenti negativi. I premi non dovrebbero essere aumentati nei momenti in cui si cerca di incoraggiare le banche a prestare denaro per rilanciare il mercato immobiliare e permettere all'economia di crescere nuovamente.]

http://www.securagroup.com/news/archives/articles/2008/AB080827.pdf

Uno dei principali fattori macroeconomici che influenzano i movimenti delle valute è il differenziale dei tassi di interesse tra le diverse nazioni.

Per quanto riguarda il rapporto euro-dollaro la relazione si può notare evidentemente dal primo grafico, nel quale sono rappresentati il rapporto di cambio (linea blu) e il differenziale dei tassi a dieci anni delle due divise (linea rossa).

Si possono osservare tre tendenze, nel 2005 il differenziale sale e l'euro scende nei confronti del dollaro, dal 2006 al luglio 2008 il differenziale scende praticamente ininterrottamente consentendo l'apprezzamento dell'euro da quota 1,18 fino al raggiungimento dei massimi a 1,60 per poi nella seconda metà del mese di luglio tornare a quota 1,50 con uno spread in leggero recupero.

Il secondo grafico ci permette di osservare in dettaglio il recupero messo a segno dal dollaro a partire da metà luglio fino ad oggi.

Anche in questo caso possiamo notare tre diverse fasi, la prima dal 2007 fino ai massimi di aprile 2008 con differenziale tassi in discesa ed euro-dollaro in aumento; la seconda fino ai massimi del luglio scorso con un movimento sostanzialmente laterale delle due variabili; la terza fase si contraddistingue invece dal proseguimento del movimento laterale dei differenziali di tasso ma dal recupero del dollaro nei confronti dell'euro, il quale dai massimi di 1,60 ritorna a 1,40.

Pur non essendo l'unico fattore ad influenzare il movimento dei cambi, il fatto che i differenziali dei tassi non abbiano sostenuto nella stessa misura il movimento del dollaro rende probabile una ripresa dell'euro nei prossimi mesi.

Il grafico a fianco è tratto da uno studio realizzato l'anno scorso, ma ancora del tutto attuale, dal titolo "Housing IS the business cycle" e pubblicato dal NBER.

Nello studio viene analizzato il comportamento del prodotto interno e dei suoi singoli componenti in corrispondenza delle passate recessioni. Ne risulta che la prima componente ad anticipare la recessione è la componente degli investimenti residenziali, seguita dal consumo di beni durevoli, di servizi ed infine di beni di consumo. Le altre componenti iniziano generalmente a calare quando la recessione è ormai in atto.

Gli investimenti residenziali, seguiti dal consumo di beni durevoli, sono anche i primi a ripartire quando l'economia è ancora in contrazione. Da qui la conclusione che il settore immobiliare, nonostante dia un apporto relativamente modesto al prodotto interno in condizioni normali, sia l'anticipatore più efficace della recessione e della ripresa che ne segue e che il ciclo economico sia fondamentalmente guidato dal comportamento dei consumatori.

la ricerca può essere scaricata a questo link: http://www.anderson.ucla.edu/Documents/areas/adm/media/leamer_housing_business_cycle.pdf

La Banca Centrale Cinese è nei guai.

Ha fatto acquisti a mani basse negli Stati Uniti negli ultimi sette anni, comprando 1 trilione di dollari circa di titoli del Tesoro e di obbligazioni coperte da mutui emesse da Fannie Mae e Freddie Mac. Questi investimenti hanno perso molto del loro valore a causa della svalutazione del dollaro, mettendo in luce l'esiguità del capitale sociale della Banca Centrale. Il suo capitale, solo 3,2 bilioni di dollari, non è cresciuto nel frattempo, nonostante gli avvertimenti del Fondo Monetario Internazionale. Ora la Banca Centrale ha necessità di un infusione di capitale. Le banche centrali possono, ovviamente, stampare più moneta, ma ciò alimenterebbe l'inflazione. La Banca Centrale Cinese ha invece iniziato dei negoziati con il ministero delle finanze al fine di aumentare il proprio capitale, hanno dichiarato tre persone al corrente degli incontri i quali hanno insistito per rimanere in anonimato in quanto l'argomento è fra i più delicati in Cina.

La situazione difficile della Banca Centrale ha notevoli implicazioni. Innanzitutto, diminuisce la probabilità che la Cina lasci che lo yuan continui ad apprezzarsi sul dollaro, hanno riferito esperti del settore. Questo potrebbe accrescere delle tensioni commerciali con gli Usa. L'amministrazione Bush e molti democratici nel Congresso hanno spinto per uno yuan più forte al fine di ridurre la competitività delle esportazioni cinesi e ridurre così il deficit della bilancia commerciale.

La Banca Centrale è stata tra i più autorevoli sostenitori dello yuan forte in Cina. Ma si trova ora a dipendere maggiormente dal ministero delle finanze, il quale ha sempre tentato di opporsi al rafforzamento della valuta cinese. Se lo yuan perde valore, le esportazioni cinesi ne traggono vantaggio nei confronti di quelle degli altri paesi. Le due burocrazie sono state feroci rivali in passato. Accettare un'iniezione di capitale da parte del ministero delle finanze potrebbe ridurre l'indipendenza della Banca Centrale, ha detto Eswar S. Prasad, già rappresentante capo per la Cina al Fondo Monetario Internazionale.

"Le banche centrali non fanno ciò volentieri per non trovarsi nelle mani del ministero delle finanze". Egli ha dichiarato che durante il suo viaggio a Pechino per conto del FMI, ha ripetutamente avvertito la Cina per l'enorme ammontare di titoli americani in suo possesso, facendo notare che ciò rende la Cina vulnerabile alle perdite dovute sia ad un rafforzamento dell yuan sia ad aumenti nel tasso di interesse americano. Quando i tassi di interesse salgono, il prezzo dei titoli scende. Nessun commento da parte della Banca Centrale, mentre il ministero delle finanze non ha risposto alle chiamate o alle richieste di commenti inviate via fax.

I dati di uno studio della BIS di Basilea, Svizzera, a volte ribattezzata la banca centrale delle banche centrali, indicano che molte banche centrali alla fine del 2002 disponevano di un capitale limitato, ma poche così basso quanto la Banca Centrale Cinese. Dato lo scarso rendimento dei titoli esteri, il governo cinese potrebbe decidere di immettere sul mercato parte delle sue riserve in valuta straniera. Il ministero delle finanze ha comunque spinto gli investimenti in azioni oltreoceano. Nell'ultimo anno, ha preso controllo dei 200 billioni di dollari della China Investment Corporation, finanziati dalla Banca Centrale. L'operazione più pubblicizzata, un investimento di 3 billioni di dollari nel Blackstone Group nel maggio dell'anno scorso, ha perso più del 43% del suo valore iniziale.

Le difficoltà della Banca Centrale non determinano, in sè, un pericolo per l'economia, secondo gli economisti. Il governo ha ampie risorse ed un bilancio in attivo. Più probabilmente, il ministero delle finanze trasferirà semplicemente titoli di altre agenzie governative alla Banca Centrale per aumentarne il capitale. Ma anche in una nazione dove sono rare le critiche alla politica economica, segni di malcontento si stanno manifestando al riguardo degli investimenti all'estero. Per esempio, un blogger cinese ha scritto il mese scorso, "E' come se la Cina avesse fatto un regalo di 200 nuove portaerei alla Marina di Stato Americana". I banchieri stimano che 1 trilione di dollari, dei totali 1,8 trilioni che compongono le riserve in valuta straniera della Cina, sono investiti in titoli americani. Con un prezzo delle portaerei a 5 bilioni di dollari caduna, 1 trilione di dollari comprerebbe, in teoria, 200 portaerei.

Lo yuan è salito del 21% contro il dollaro da quando, nel luglio del 2005, la Cina ha revocato l'ancoraggio tra le due divise. Il calo attuale del valore degli investimenti della Banca Centrale sono un segreto di stato inviolabile. La Cina si trova sul bordo del precipizio. Se riducesse drasticamente gli acquisti di titoli denominati in dollari, il dollaro probabilmente perderebbe di valore repentinamente ed i tassi di interesse potrebbero salire. La Cina l'anno scorso ha speso più di un ottavo della sua intera produzione nell'acquisto di titoli esteri, ed ha mantenuto il trend nei primi mesi di quest'anno. I funzionari cinesi hanno dichiarato in commenti recenti che sono sempre più interessati a fermare il rialzo dello yuan, e quindi continueranno a comprare titoli esteri per rafforzare il dollaro. Di fatto, lo yuan si è indebolito leggermente il mese scorso contro il dollaro dopo 26 mesi consecutivi di rialzo.

Oltre ai titoli del Tesoro, la Cina ha investito pesantemente in titoli legati ai mutui emessi da Fannie Mae e Freddie Mac, i due giganti dei mutui in crisi che sono sostenuti dal governo degli Stati Uniti. Standard & Poor's stima l'ammontare di titoli in possesso della Cina in 340 bilioni di dollari. Alcuni operatori in titoli hanno il sospetto che la Banca Centrale abbia ridotto l'ammontare dei suoi acquisti di titoli, al pari delle banche commerciali cinesi. Ma le operazioni della Banca Centrale vengono eseguite attraverso canali terzi in molti paesi, rendendo l'attività oscura per molti analisti esterni.

La Banca Centrale ha tentato in tutti i modi di mantenere i suoi acquisti di titoli esteri. Il denaro proviene dalle riserve obbligatorie che le banche commerciali depositano presso la Banca Centrale. In effetti, le banche commerciali cinesi stanno prestando alla Banca Centrale più di un trilione di dollari ad un interesse inferiore al 2%. Per rafforzare le banche nonostante abbiano diritto ad un così basso tasso di interesse sulle riserve, la Banca Centrale ha mantenuto bassi i tassi sui depositi. Il divario tra quello che le banche pagano sui depositi ed i tassi applicati ai clienti ordinari per i prestiti è di molti punti percentuali. Questo equivale ad un trasferimento di ricchezza dai risparmiatori cinesi alla Banca Centrale e da questa agli Usa i quali stanno vendendo il loro debito ai cinesi. La Banca Centrale è ora sotto pressione per ridurre la riserva obbligatoria delle banche commerciali in modo da favorire la crescita a fronte di un'economia che mostra segni di rallentamento.

Victor Shih, esperto della Banca Centrale Cinese alla Northwestern University, ha dichiarato che quando è stato in visita alla Banca Centrale Cinese per una serie di incontri questa estate, è stato sorpreso dal rancore di molti funzionari risentiti per le perdite della loro istituzione. Egli ha dichiarato che i funzionari cinesi danno la colpa agli Usa e credono nei controversi racconti del libro "Guerra delle valute", un best-seller cinese pubblicato l'anno scorso. Il libro insinua che gli Usa abbiano deliberatamente indotto la Cina a comprare i suoi titoli sapendo che avrebbero perso valore in futuro. "Molti politici in Cina, almeno di medio livello, credono a questo racconto", ha dichiarato Shih.

http://www.nytimes.com/2008/09/05/business/worldbusiness/05yuan.html

A fianco riportiamo due grafici estratti dall'ultimo report della DDB che mettono in evidenza la stretta correlazione tra i prezzi dei metalli, su tutti il rame e l'alluminio, e l'andamento dell'economia.

Nel primo grafico la relazione è con l'indice ISM che riguarda il settore manifatturiero statunitense, nel secondo grafico invece la relazione è con l'indice tedesco IFO; entrambi questi indici riflettono abbastanza fedelmente l'andamento dell'economia nei due paesi.

Rimanendo stabile, almeno per il momento, la politica monetaria delle banche centrali è difficile prevedere che questi due indici possano ritornare su livelli espansivi e di conseguenza la pressione al ribasso sui prezzi delle materie prime dovrebbe continuare finchè non arrivino segnali di cambiamento di indirizzo da parte della Fed o della Bce; il che potrebbe accadere nel prossimo anno.

Mercoledì 30 luglio, la Federal Reserve ha annunciato che le banche d'investimento potranno rivolgersi alla banca centrale per ottenere liquidità fino al 30 gennaio. Il programma, iniziato il 17 marzo, doveva inizialmente durare fino alla metà di settembre. Anche un altro programma, dove le banche d'investimento possono temporaneamente scambiare titoli ad alto rischio per titoli del Tesoro continuerà fino al 30 gennaio, ha annunciato la Fed. Sarà anche possibile, in un programma separato, richiedere liquidità per un periodo di tempo maggiore, per 84 giorni anzichè gli attuali 28 giorni.

L'introduzione di nuovi schemi per aumentare la liquidità indica che i banchieri centrali americani sono tuttora preoccupati dalle restrizioni delle condizioni di credito dei mercati finanziari, le quali secondo loro pregiudicano l'economia. Molti esperti di economia danno la colpa delle difficili condizioni del credito alle azione delle banche per migliorare la loro solvibilità. Infatti, si crede, che l'intento collettivo delle banche di migliorare la propria solvibilità attualmente corra il rischio di renderle meno solvibili, peggiorando così la crisi di liquidità.

Prendete per esempio un'azienda X, la quale ha 200 dollari di azioni. L'azienda prende in prestito 800 dollari e compra un attivo da 1000 dollari. In questo esempio possiamo dire che l'azienda X ha una leva finanziaria di 5. Il che equivale a dire che i 200 dollari di azioni rappresentano 1/5 dell'attivo di 1000 dollari. Se il valore dell'attivo scende del 10% a 900 dollari, dato il debito di 800, implica un calo delle azioni o del valore netto a 100 dollari, ovvero 1/9 dei 900 dollari dell'attivo, aumentando la leva da 5 a 9 e rendendo l'azienda meno solvibile.

Assumiamo ora che l'azienda X decida di ripristinare la sua leva a 5 (facendo questo l'azienda sarà più solvibile). Per raggiungere ciò l'azienda vende attivi per 400 dollari e riduce il debito a 400 dollari. Di conseguenza X ha ora 500 dollari di attivi, 100 dollari di azioni e 400 dollari di debito: la leva è ora nuovamente 5. Ma se molte aziende tentano di diminuire la loro leva allora vi è il rischio che il valore degli attivi diminuisca. Se, per esempio, il valore dell'attivo dell'azienda X scende ancora del 10% a 450 dollari, dato il debito di 400 dollari, il valore netto scende a 50 dollari, il che implica che la leva torni a 9.

Come conseguenza della crisi immobiliare e del crollo dei prezzi delle case, le banche ed altre istituzioni finanziarie hanno preso la decisione di ridurre la loro esposizione al rischio, diminuendo la leva finanziaria. Ma riducendo i prestiti, risistemando gli attivi, le banche stanno obbligando molti debitori a vendere i loro attivi per prevenire l'insolvenza. Di conseguenza ciò mette in moto una deflazione nei prezzi degli attivi. La quale, a sua volta, diminuisce il valore dei collaterali e costringe le banche a ridurre i prestiti nuovamente, ecc. Ne segue che se tutte le istituzioni finanziarie si comportano alla stessa maniera (cercando di sistemare il proprio bilancio), possono guidare i prezzi degli attivi al ribasso, il che, dato un debito iniziale, abbatterà il loro valore netto e quindi finirà per aumentare la leva finanziaria e renderle mano solvibili. Questo è il paradosso del deleveraging. Se questo processo non viene fermato può seriamente danneggiare l'economia reale, così viene detto.

Quindi cosa si dovrebbe fare? Secondo il pensiero comune, la banca centrale o il governo deve mobilitarsi ed iniziare a comprare gli attivi che le banche stanno vendendo. Questo, si dice, fermerà la deflazione dei prezzi degli attivi e preverrà le pericolose dinamiche che potrebbeno mandare in rovina l'economia reale.

Alcuni sono dell'idea che il "paradosso del deleveraging" segua lo stesso principio del "paradosso del risparmio" che fu messo in luce da John Maynard Keynes. Il "paradosso del risparmio" afferma che se ognuno si comporta con cautela con il proprio denaro e risparmia, questo farà diminuire la domanda aggregata, il che porterà ad un calo della crescita economica. Il risultato sarà un calo nel risparmio totale dell'economia.

Secondo questo modo di vedere, la spesa di un individuo è il reddito di un altro individuo, ne segue che se ogni individuo aumentasse il proprio risparmio, ovvero diminuisse la spesa, il reddito totale dell'economia diminuirebbe. Un reddito inferiore permetterebbe un minor risparmio. Da qui la conclusione che se la gente esita a spendere, allora il governo deve farsi avanti ed aumentare la spesa pubblica per evitare che l'economia cada in recessione.

Nei suoi scritti, Keynes si affida alle idee di Bernard Mandeville per dare credito al "paradosso del risparmio". Secondo Mandeville, "Siccome questa economia prudente, che alcuni chiamano risparmio, è nelle famiglie il metodo migliore per far crescere il patrimonio, alcuni immaginano che, arida o sterile che sia una terra, lo stesso metodo se generalmente perseguito (cosa che essi credono praticabile) avrà lo stesso effetto sulla nazione intera, e quindi, per esempio, gli inglesi potrebbero essere molto più ricchi di quello che sono se fossero così frugali come alcuni dei loro vicini. Questo, secondo me, è un errore."

Per rafforzare l'idea che il risparmio sia dannoso per l'economia, Keynes cita anche Malthus: "Credo fermamente che il tentativo di accumulare molto rapidamente, il che necessariamente implica un considerevole calo del consumo improduttivo, diminuendo gli abituali stimoli alla produzione, freni prematuramente l'aumento della ricchezza... Ma se è vero che il tentativo di accumulare molto rapidamente porterà ad una divisione tra lavoro e profitto da distruggere sia il motivo sia la forza di una futura accumulazione e conseguentemente la capacità di mantenere e dare lavoro ad una popolazione in aumento, non dovrebbe essere dato per certo che questo tentativo di accumulare, o di risparmiare troppo, può essere veramente dannoso per una nazione?"

Spesa monetaria e risparmio reale - qual'è la connessione?

Notate che secondo questo modello di pensiero ci si riferisce a spesa, risparmio e reddito in termini monetari. Noi sosteniamo che ciò che conta se ci si occupa di crescita economica reale non è la spesa monetaria in sè, ma il risparmio reale. E' il risparmio reale e non la moneta che finanzia l'investimento in apparecchiature e macchinari, ossia beni capitali, i quali a loro volta permettono l'espansione della ricchezza reale.

La spesa monetaria in sè non ha rilevanza se ci si occupa di formazione del risparmio reale. Per mezzo del denaro un produttore di ricchezza scambia i beni prodotti con quelli di un altro produttore. In questo senso, il pagamento avviene sempre in beni prodotti. Il denaro rende solamente possibile lo scambio di molti beni. Si noti che senza l'esistenza di beni non ci sarebbe nessuno scambio.

Al contrario di ciò che si pensa comunemente, il cuore del credito non è la moneta ma i beni finali e servizi risparmiati. Se Giovanni il panettiere produce dieci pagnotte di pane e ne consuma una, il suo risparmio è pari a nove pagnotte di pane. Il risparmio del panettiere gli permette di assicurarsi altri beni e servizi. Per esempio il panettiere può ora scambiare il suo pane risparmiato per un paio di scarpe con un calzolaio. Notate che il risparmio del panettiere è il suo
vero mezzo di pagamento, egli paga le scarpe con il pane risparmiato. A sua volta il calzolaio paga per le nove pagnotte di pane con le scarpe che sono il suo risparmio reale.

Il panettiere potrebbe stipulare un'altra transazione con il calzolaio. Egli potrebbe imprestare le sue nove pagnotte di pane in cambio di dieci pagnotte di pane entro una settimana. Si noti che le nove pagnotte sostengono il calzolaio e gli permettono di continuare a produrre scarpe. Una settimana dopo, si spera, il calzolaio ha prodotto abbastanza scarpe da assicurarsi le dieci pagnotte di pane necessarie a ripagare il panettiere del prestito delle nove pagnotte più una pagnotta di interesse. L'introduzione della moneta nella nostra storia non altera minimamente ciò che è stato detto.

Senza il mezzo di scambio, la moneta, nessuna economia di mercato potrebbe verificarsi. Per mezzo della moneta la gente può trasmettere il risparmio reale, il quale permette l'ampliamento del processo di sviluppo della ricchezza reale. Ogni volta che qualcuno presta del denaro, egli trasferisce il mezzo di pagamento al debitore. Per mezzo del denaro il debitore può accedere ai beni finali ed ai servizi. Per mezzo del denaro il debitore può ora assicurarsi il riparmio reale (beni finali e servizi) che lo sosterranno mentre è impegnato nella produzione di altri beni e servizi. Notate che i beni finali devono già esistere affinchè lo scambio si verifichi.

Nella stessa maniera come il risparmio reale sostiene il produttore di beni finali di consumo, il calzolaio nel nostro esempio, il risparmio finanzia anche la produzione di attrezzature e macchinari, i quali a loro volta permettono l'aumento di beni finali e servizi. Ciò permette un ulteriore aumento del risparmio reale che può ora sostenere la costruzione di una struttura di produzione più sofisticata, che a sua volta permette un ulteriore espansione della produzione di beni finali e servizi. In questo senso il risparmio reale è la chiave della crescita economica. Questo al contrario del pensiero convenzionale, il quale sostiene che il risparmio può essere dannoso per la crescita economica.

Osservate che il pensiero convenzionale arriva a conclusioni erronee in quanto prende in considerazione solo i flussi monetari senza tener conto della materia reale. Di nuovo, per il pensiero principale ciò che importa è la spesa monetaria, quindi più la gente spende più grande sarà il reddito monetario. Da questo si conclude che un aumento del risparmio, che equivale ad una minor spesa monetaria, è una brutta notizia.

Ma ha un senso affermare che la gente risparmia?

Domanda di moneta e risparmio

La gente non risparmia denaro, come afferma il pensiero principale, ma piuttosto esercita una domanda di moneta. Una volta che il risparmio reale è dato in cambio per della moneta il beneficiario della moneta può esercitare la sua domanda di moneta in varie forme. Questo non avrà comunque nessun effetto sull'ammontare totale del risparmio reale.

Un individuo può esercitare la sua domanda di moneta sia detenendola nelle sue tasche o in casa o dandola in custodia ad una banca in un conto di deposito o anche in una cassetta di sicurezza. Il fatto che un individuo presti il suo denaro o lo metta sotto il materasso non altera l'ammontare totale del risparmio reale. Mettendo il suo denaro sotto il materasso, un individuo non compie un atto di risparmio ma esercita soltanto una domanda di moneta. Ciò che un individuo fa con il suo denaro non può cambiare il fatto che il risparmio reale sta già finanziando una particolare attività. (Sia che un individuo decida di detenere il suo denaro o che lo presti modifica la domanda di moneta, ma non ha nulla a che fare con il risparmio).

Ogni volta che un individuo presta del denaro ad un debitore significa che egli trasferisce un mezzo di scambio che il debitore può adoperare per acquistare beni reali o servizi. Prestando denaro, un individuo diminuisce la sua domanda di moneta. Al contrario il debitore ha aumentato la sua domanda di moneta. Si noti che l'atto di prestare denaro non altera l'ammontare del risparmio reale. Parimenti, se il proprietario di denaro decide di comprare un titolo finanziario quale un'obbligazione o un'azione egli traferisce semplicemente il mezzo di scambio al venditore del titolo finanziario, il risultato della transazione non modifica il risparmio reale presente.

Si noti anche che la gente non domanda moneta per detenerla, in sè, ma piuttosto per usarla in uno scambio. Anche se i prezzi stanno scendendo, questo non significa che la gente inizi ad accumulare moneta. Essi continueranno ancora ad usarla per mantenere il loro stile di vita e benessere.

Maggiore è la crescita della produzione di beni e servizi, maggiore sarà la domanda del mezzo di scambio. Nuovamente l'aumento della domanda significa un aumento della domanda di moneta la quale permetta lo scambio di un maggior numero di beni e servizi.

Una volta che si è appurato che il risparmio è la materia reale e non ha nulla a che vedere con la moneta in sè, il cosidetto paradosso del risparmio si rivela essere illogico. Se abbiamo due panettieri ed ognuno di loro ha risparmiato nove pagnotte di pane, colettivamente non possiamo avere meno di diciotto pagnotte di pane risparmiate come il paradosso del risparmio implica. Possiamo anche concludere che, contrariamente al "paradosso del risparmio", l'aumento del risparmio è la chiave per la prosperità economica.

E' la riduzione della leva finanziaria davvero dannosa per l'economia?

L'esistenza delle banche ha accresciuto l'uso del risparmio reale. Adempiendo il ruolo di intermediario, le banche facilitano la ricerca di un mutuatario da parte di un prestatore. Quando una banca presta del denaro, essa di fatto fornisce al mutuatario il mezzo di scambio che può essere impiegato per acquistare beni e servizi. Ciò che determina il flusso del prestito è il flusso del risparmio reale. Se il panettiere avesse consumato la sua intera produzione di dieci pagnotte di pane non ci sarebbe stato nulla rimasto da prestare.

E' quindi del tutto inutile esortare le banche a prestare di più se il risparmio reale non è sufficiente. In ugual modo non ha senso affermare che la Fed possa in qualche maniera surrogare il risparmio reale che non esiste, in questo caso nove pagnotte di pane, stampando più moneta. (E' inoltre inutile aumentare la spesa del governo per risolvere il problema. Dopotutto se un governo spende di più significa che qualcun altro avrà meno risorse a disposizione.) Tutto quello che questo aggiungere moneta all'economia provocherà è indebolire i generatori di ricchezza, riducendo in tal modo l'offerta futura di risparmio reale e indebolendo la crescita futura dell'economia reale.

Il fatto che al momento le banche stiano restringendo i loro prestiti è la risposta al danno inflitto al risparmio reale. Da notare è che il fattore chiave dietro il danno è l'allentamento della politica monetaria della Fed e la seguente espansione del credito non sostenura dal risparmio reale, ovvero credito "dal nulla". (Tra il gennaio 2001 ed il giugno 2003, il tasso sui fed funds è stato ridotto dal 6% all'1%.) Un atteggiamento più restrittivo tra giugno 2004 e settembre 2007 (il tasso è risalito dall'1% al 5,25%), l'effetto del quale è tuttora in corso, sta minando molte false attività che erano emerse nel precedente periodo di politica monetaria espansiva. Come risultato, queste attività possono ora stornare meno ricchezza reale dai produttori di ricchezza, sono quindi in crisi. Di conseguenza, i prestiti bancari inesigibili o gli attivi scadenti stanno aumentando. Dopotutto, le banche hanno sostenuto queste attività con credito "dal nulla". Ovviamente a questo punto non ha molto senso prevenire un crollo nel valore di questi attivi quando il prezzo precedente rappresenta delle false attività. Il crollo dei prezzi di questi attivi riporta le cose nella giusta dimensione.

In quest'ottica possiamo solo sostenere che se la Fed avesse successo nell'aumentare l'espansione monetaria attraverso un periodo di tassi di interessi bassi e nel prevenire una deflazione dei prezzi degli attivi, questo peggiorerà solamente le cose. E se la riduzione del credito danneggiasse i "bravi ragazzi", ovvero i produttori di ricchezza? Questo può senza dubbi accadere, ma la ragione di ciò non è la non-volontà delle banche a prestare, in sè, ma lo stato depresso dell'ammontare del risparmio reale. (I bravi ragazzi devono ora pagare interessi più alti.)

Se il risparmio reale è in crisi nessun trucco tipo l'acquisto di attivi da parte del governo o della Fed per prevenire la deflazione dei prezzi degli attivi può aiutare la crescita economica reale. Al contrario continuerà solamente a falsificare il meccanismo prezzo-segnale ed a dissipare il risparmio reale.

Quindi che cosa possiamo concludere riguardo al "paradosso del deleveraging"?

E' vero che se ogni banca provasse a "sistemare" il proprio bilancio, il risultato collettivo sarebbe disastroso per l'economia reale? Al contrario, aggiustando il proprio bilancio alle condizioni reali le banche getterebbero le basi per una ripresa sostenuta dell'economia. Dopotutto, riducendo i propri prestiti le banche riducono l'espansione del credito "dal nulla". Come abbiamo visto, esso è il tipo di credito che indebolisce i generatori di ricchezza e quindi porta ad un impoverimento economico. Al contrario dei sostenitori del "paradosso del deleveraging" noi possiamo solamente concludere che se ogni banca si proponesse di sistemare il proprio bilancio, riducendo di conseguenza l'espansione del credito "dal nulla", questo getterebbe le basi di una sana ripresa economica.

Conclusione

Per molti commentatori, uno dei maggiori pericoli per l'economia Usa è il fatto che le banche stanno riducendo la loro espansione del credito al fine di aumentare il loro valore netto e quindi la loro solvibilità. Questo, si sostiene, mette in moto un circolo vizioso che porta alla deflazione dei prezzi degli attivi, che dato un certo valore di passività indebolisce ulteriormente il valore netto delle banche e di conseguenza la loro solvibilità.

Quando tutte le banche proveranno a "sistemare" i propri bilanci, il risultato sarà l'esatto opposto di quello che vogliono raggiungere, viene detto. Perciò cosa dovrebbe essere fatto per fermare questo circolo vizioso? Secondo il pensiero convenzionale, le banche centrali ed il governo dovrebbero agire comprando gli attivi dei quali le banche stanno cercando di disfarsi.

Questa conclusione è in linea con gli scritti di Keynes. Al contrario di questo modo di pensare noi abbiamo concluso che, aggiustando i propri bilanci alla realtà,le banche metterebbero in moto un processo che permetterebbe una crescita economica sostenibile.

Su questo Ludwig von Mises ha avuto questo da dire: "Il successo senza precedenti del keynesianesimo è dovuto al fatto che fornisce un'apparente giustificazione per le politiche di spesa e di indebitamento dei governi contemporanei. E' la pseudo-filosofia di quelli che non pensano altro che dissipare il capitale accumulato dalle generazioni precendenti. Malgrado ciò nessuna profusione di un autore, purchè brillante e sofisticata, può alterare le leggi economiche perpetue. Esse sono e lavorano e si prendono cura di loro stesse. A dispetto di tutte le appassionate invettive dei portavoce dei governi, le inevitabili conseguenze dell'inflazionismo e dell'espansionismo così dipinte dagli economisti "ortodossi" stanno per verificarsi. E quindi, molto tardi in effetti, anche le persone semplici scopriranno che Keynes non ci ha insegnato come effettuare il "miracolo ... di trasformare una pietra in pane", ma la per nulla miracolosa usanza di mangiare i semi di mais."

http://www.mises.org/story/3064

Continua a diminuire il reddito medio negli Usa che a luglio ha fatto registrare un calo dello 0,7% rispetto ai dati di giugno in termini nominali.

E continua il forte rallentamento nei consumi nonostante il pacchetto di stimolo fiscale (vedi qui e qui) i consumi reali sono infatti aumentati nell'ultimo anno di un misero 0,7%; un aumento così lieve si è registrato in passato solamente in concomitanza alle recessioni economiche.

Nonostante quindi il dato positivo, anche se per solo merito delle esportazioni, del prodotto interno al 3,3% nel secondo trimestre rimangono molti i dubbi sulla sostenibilità di questo modello di crescita.





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